POLITICA – Non c’è proprio pace per la 194. Sì, sempre lei, la legge dello Stato sull’aborto, da tempo ormai sotto un fuoco incrociato che si sta facendo sempre più fitto. L’ultimo assalto viene dal Tribunale di Spoleto, che ha chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi sulla legittimità dell’articolo 4 della legge, quello che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi novanta giorni. Le cose sono andate così: il 27 dicembre 2011 una ragazza di 17 anni si presenta in un consultorio familiare di Spoleto manifestando “con chiarezza e determinazione” la volontà di abortire e chiedendo che nella questione non siano coinvolti i genitori . I servizi sociali trasmettono una relazione sul caso al giudice tutelare del Tribunale di Spoleto, il quale decide di sollevare alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4. L’ordinanza fa riferimento a una sentenza della Corte europea sulla definizione e sulla non brevettabilità di embrione umano e, in breve, il ragionamento del giudice è questo: se l’embrione non è brevettabile allora deve essere considerato un soggetto giuridico autonomo da tutelare, anche e soprattutto in ragione del fatto che non può farlo da solo. E se così stanno le cose, allora non ci si può che interrogare sulla legittimità dell’aborto che, “come ovvio”, comporta la distruzione dell’embrione. Condizione che – va da sé (sempre secondo l’ordinanza) – confliggerebbe con almeno un paio di articoli della nostra costituzione: il 2 sui diritti inviolabili dell’uomo e il 32 sul diritto alla salute dell’individuo.
E insomma, gira e rigira siamo tornati alla questione dello status dell’embrione, proposto qui come soggetto giuridico autonomo e “uomo in fieri”. E della madre – delle donne, in generale – chi se ne frega. Evidentemente, deve trattarsi di soggetti giuridici un po’ meno autonomi, di esseri umani un po’ meno in fieri.
L’esame della Consulta è atteso per il prossimo 20 giugno: ovviamente vi terremo informati. Intanto, però, meglio ricordare che l’attacco non è tutto qui. L’altro fronte è aperto in Parlamento, dove sono stati presentati negli ultimi 4 anni ben 6 disegni di legge che puntano a rivedere (in senso ampiamente restrittivo) la legge 194. Ecco una breve rassegna:
Ddl Farina (PdL). Poiché la legge legittima l’aborto «quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna», Farina propone di distinguere fra anomalie o malformazioni correggibili o meno chirurgicamente prima o dopo la nascita. E di vietare l’interruzione di gravidanza per i casi “correggibili”.
Ddl Buttiglione (UdC) e altri. Propone di fissare il termine ultime per l’interruzione volontaria di gravidanza a 20 settimane (termine ulteriormente riducibile). Sulla stessa linea il Ddl Barbieri (PdL) e altri, che qualche tempo prima proponeva di fissare il termine a 21 settimane.
Ddl D’Alia (UDC-SVP-Aut) e altri. Propone l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sull’applicazione della legge, con il compito di accertare che Stato, enti locali e consultori si siano dati davvero da fare nell’attività di prevenzione dell’aborto volontario. Una richiesta analoga l’aveva già fatta Volonté (UdC) con un suo primo Ddl.
Ddl Volonté (UdC) (il secondo). Propone l’erogazione di un contributo alle donne che rinunciano all’aborto: 516 euro mensili per un anno, «dal concepimento fino al ricovero del minore in un istituto di assistenza, ovvero alla sua adozione o affidamento».
Ma non è finita. Perché la battaglia più feroce non è quella, pur aspra, giocata nelle aule dei tribunali o del Parlamento, ma quella portata in prima linea negli ospedali, combattuta direttamente sul corpo (e sulla mente) delle donne che abbiano scelto (mai superficialmente, e ci si stufa perfino di ricordarlo) un percorso di interruzione di gravidanza. Qui il “braccio armato” della lotta alla 194 si chiama obiezione di coscienza e basta dare un’occhiata a qualche dato per capire che il problema è enorme.
Secondo l’ultima relazione annuale del Ministro della salute sull’attuazione della 194 (dati riferiti al 2009), sono obiettori 7 medici su 10 (con punte di 8 su 10 in certe regioni del Sud), un anestesista su due e più di 4 operatori non medici su 10. Tutti dati che hanno conosciuto un incremento significativo negli ultimi anni: i ginecologi obiettori, per esempio sono passati dal 58,7% del 2005 al 70,7% del 2009. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, ci sono nel nostro paese ospedali totalmente obiettanti, il che ci pone in una situazione paradossale: avere una legge dello Stato che garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto della dignità e della libertà della donna e della sua integrità fisica e psichica, ma di fatto non disporre pienamente degli strumenti perché questo diritto si compia.
Tante, tantissime lotte sono già state fatte in difesa della 194, ma di fronte a un quadro così drammatico non resta che rimboccarsi le maniche e provare nuove forme di resistenza. Una l’ha messa in campo da ieri un nutrito gruppo di blogger, che oltre a riassumere una serie di azioni possibili proposte di recente da varie realtà, ha lanciato l’iniziativa #save194. L’invito è semplice: tenere alta l’attenzione in prossimità del 20 giugno, lanciando su Twitter l’hashtag #save194. Anche Oggi Scienza aderisce.
Immagine: Gnappo™/Flickr