CRONACA – Deborah Custance è nota per esperimenti con gli scimpanzé che scimiottavano soltanto se, da soli, non trovavano la soluzione a un problema e dovevano impararla da altri. Smentito questo luogo comune, ha cercato di verificarne un altro: se Fido è capace di empatia e cerca davvero di confortarci quando siamo infelici.
In un articolo che uscirà prossimo numero di Animal Cognition la psicologa inglese e Jennifer Mayer, anche lei dell’Università di Londra, passano in rassegna le definizioni di empatia e i tentativi di identificarla in altre specie. Mentre è facile riconoscere quella espressa da un bambino, scrivono,
Il comportamento dei cani in circostanze simili è più difficile da interpretare. Possono guaire, leccare, dare colpetti con il muso a una persona, mettere la testa nel suo grembo o andare a prendere giocattoli. Ma tutto ciò potrebbe essere un’espressione di sconforto contagioso o di una ricerca egoistica di conforto, non un conforto offerto e motivato dall’empatia.
O dalla semplice curiosità. Per distinguere tra le motivazioni, le ricercatrici hanno sottoposto a un esperimento 18 cani di taglia media, tutti di compagnia, metà femmine e metà maschi,
dieci bastardi, tre Labrador, tre Golden Retriever, un bracco ungherese, un pastore belga e un Beagle.
Dodici erano stati adottati in un rifugio per cani abbandonati, gli altri da cuccioli erano stati presi da allevamenti o da conoscenti.
Ogni cane assisteva a scenette da 20 secondi l’una tra il proprio padrone, 14 donne e 4 uomini, e un’estranea (Jennifer Mayer) la quale si era mostrata indifferente nei loro confronti da quando era entrata in casa. Per evitare ai quadrupedi lo stress di una trasferta in un luogo nuovo, l’esperimento si svolgeva nel soggiorno dei volontari bipedi. Questi parlavano normalmente (situazione di controllo) e a turno canticchiavano e piangevano.
La canzoncina suscitava al massimo un lieve curiosità, sguardo prolungato, orecchie dritte e poco più. I quindici cani che assistevano al pianto – tre non erano disponibili – si avvicinavano allo stesso modo sia al padrone che all’estranea. Questo consente di escludere un’espressione di sconforto contagioso o una ricerca egoistica di conforto? Non ancora, dicono le autrici,
Se si avvicina a un membro infelice della famiglia, è probabile che il cane riceva dimostrazioni di affetto che ne rafforzano positivamente il comportamento… La simpatia o l’empatia cognitiva richiederebbe invece di esprimere una comprensione della prospettiva mentale degli esseri umani che piangono.
Un’espressione corrispondente al nostro “Cosa ti succede?”, insomma.
Senza il beneficio di reazioni verbali, è difficile immaginare quale comportamento potrebbe produrre un cane per indicare in maniera convincente che ha assunto quella prospettiva mentale.
Se i lettori non sono d’accordo possono descrivere i comportamenti del proprio cane che ne dimostrano l’empatia cognitiva, meglio se documentati con una foto. La prossima volta che Deborah Custance viene alla SISSA ne parliamo con lei.
Foto: Wikipedia/GNU