SALUTE – Nonostante sia femmina e sia capitata dalla parte “fortunata” della barricata, mi inquieta lo stesso. Le statistiche mostrano chiaramente che le donne vivono più a lungo degli uomini (e non solo fra gli esseri umani: si tratta di una tendenza diffusa nel regno animale). Un team anglo-australiano ha ora trovato dei meccanismi genetici che potrebbero spiegare il fenomeno. La cosa inquietante è che le mutazioni responsabili vengono trasmesse solo dalle madri e in più hanno effetto solo sui maschi. Gli scienziati l’han chiamata la “maledizione della madre”. Caspita.
Per fortuna ho una figlia femmina, almeno mi sento un po’ meno in colpa. Funziona così: oltre al DNA nucleare, normalmente ereditato in quantità pari da mamma e da papà, le nostre cellule contengono anche il DNA mitocondriale, che arriva solo dalla mamma (deriva infatti dai mitocondri contenuti nella cellula uovo – il povero spermatozoo invece non ne ha). Questo DNA principalmente converte le molecole di cibo in energia, e ha dunque un ruolo importante. In questo DNA mitocondriale (come in quello nucleare d’altronde) possono accumularsi mutazioni dannose che si tramandano di generazione in generazione. La cosa singolare è che le mutazioni individuate da Damian Dowling e Florencia Camus, dell’Università Monash in Australia, e David Clancy dell’Università Lancaster nel Regno Unito, hanno un effetto negativo solo sui maschi, provocando un invecchiamento più rapido in questi che nelle femmine.
In partica le femmine tramandano mutazioni nocive ai figli di entrambi i sessi, ma queste hanno effetto solo sui maschi, che non possono passarle a nessuno, mentre alle figlie femmine questi geni difettosi non fanno nulla o quasi, in compenso queste sono in grado di trasmetterle a loro volta ai figli, continuando il cliclo.
Come questa “differenza di genere” sia emersa nei vincoli imposti dalla selezione naturale non è difficile da capire: le femmine non hanno conseguenze negative dalla mutazione (nemmeno indirette, perché anche se gli uomini invecchiano prima riescono comunque a partecipare alla riproduzione) dunque possono tramandarle sia ai maschi che alle femmine. I maschi non hanno alcun ruolo in questo meccanismo selettivo (nemmeno quello di bloccare la trasmissione del gene nocivo, perché tanto le femmine continuano a tramandarlo indisturbate). A lungo andare quindi questa “ingiustizia” appare una normale conseguenza “emergente” dell’asimmetria rappresentata dal fatto che il DNA mitocondriale si trasmette solo per via femminile a entrambi i sessi. Più complesso invece spiegare perché la stessa mutazione ha effetti deleteri sui maschi e non sulle femmine (che però è noto sono spesso più protette da certi difetti genetici presenti sui cromosomi sessuali, avendo due copie dello stesso gene – l’emofilia, per esempio, o il daltonismo).
In studi precedenti lo stesso team aveva anche osservato un meccanismo simile per altri geni mutanti, che in questo caso avevano un effetto negativo sulla fertilità maschile ma non su quella femminile. Le due osservazioni insieme fanno dedurre che questi meccanismi abbiano un ruolo fondamentale nell’evoluzione (anche se è tutto da chiarire). Lo studio (che è stato condotto su generazioni di Drosophila melanogaster) è pubblicato su Current Biology.
Crediti immagine: Francisco J Iborra, Hiroshi Kimura e Peter R Cook