POLITICA – Dopo la decisione del governo italiano di ricorrere, allo scadere dei tre mesi previsti, contro la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che il 28 agosto scorso aveva bocciato la legge 40 sulla fecondazione assistita, si riaccende il dibattito su una normativa che, in otto anni dalla sua emanazione, è stata smontata, modificata, aggiustata, messa in discussione da un totale di 19 pronunciamenti giudiziari. Ma che, per quanto si provi a raddrizzare il tiro, resta una legge nata male e, a furia di continue modifiche, è diventata un pastrocchio. La cosa migliore da fare, a questo punto, sarebbe solo una: stracciare e riscrivere daccapo la legge sulla fecondazione assistita.
Uno dei punti più critici, oggetto della sentenza della Corte di Strasburgo di cui è stato chiesto il riesame, riguarda la diagnosi preimpianto degli embrioni fecondati in provetta. Nella versione originale della legge 40, la diagnosi preimpianto era vietata (veniva ammessa solo l’indagine osservazionale dell’embrione, da cui è ovviamente impossibile desumere eventuali anomalie genetiche o cromosomiche). Nel 2008, dopo diverse ordinanze giudiziarie, è una sentenza del Tar del Lazio a far saltare il primo paletto, autorizzando la diagnosi preimpianto. Successivamente, il 1 aprile 2009, la Corte Costituzionale manda a monte una parte importante della legge 40. Salta l’obbligo del trasferimento, unico e contemporaneo, degli embrioni fecondati in numero comunque non superiore a tre. E si apre una deroga al divieto di crioconservazione degli embrioni prodotti in sovrannumero.
Tuttavia la diagnosi preimpianto continua a far discutere e le ultime due cause giudiziarie mostrano le falle dell’impianto legislativo e le difficoltà degli aspiranti genitori. Il primo caso è quello di una coppia di Cagliari. Sterili, lei affetta da talassemia, lui portatore sano della malattia, con il 50 per cento di probabilità di dare alla luce un figlio malato. Per le modifiche apportate alla legge, loro hanno il diritto di ottenere la diagnosi preimpianto nella struttura sanitaria pubblica come prestazione gratuita. Eppure l’Ospedale Microcitemico di Cagliari si rifiuta di eseguire l’analisi sulle cellule. Da qui, l’azione legale. Vinta. L’altro caso riguarda invece una coppia di Roma, Rosetta Costa e Walter Pavan, che nel 2006 danno alla luce una bimba affetta da fibrosi cistica, scoprendo di essere entrambi portatori sani della malattia. Dopo una seconda gravidanza, interrotta per la stessa patologia fetale, i due chiedono di accedere alle tecniche di procreazione assistita e poter effettuare lo screening preimpiano. Desiderano un figlio sano. Ma sono fertili, potrebbero averlo naturalmente, perciò per loro la strada è sbarrata. La fecondazione artificiale, in Italia, è consentita soltanto alle coppie sterili. Come unica eccezione, introdotta nel 2008 dalle linee guida dell’ex ministro Livia Turco, il permesso è stato esteso alle coppie in cui l’uomo sia affetto da una malattia virale sessualmente trasmissibile (Hiv, epatite B o C). Costa e Pavan si rivolgono alla Corte di Strasburgo. Che dà loro ragione, giudicando la legge 40 incoerente dal punto di vista legislativo (perché l’Italia vieta l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e diagnosi preimpianto alle coppie portatrici di malattie genetiche, come la fibrosi cistica, ma consente successivamente l’aborto terapeutico se il feto è malato). L’Europa condanna il nostro Stato a pagare 15 mila euro di danni morali alla coppia. Ma la sentenza è impugnabile entro tre mesi. E allo scadere del 90esimo giorno, il governo si muove per – si legge in una nota di Palazzo Chigi – la “necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale”. Esplode la polemica bipartisan.
“È un tentativo di salvare l’insalvabile”, commenta Filomena Gallo, presidente dell’Associazione Coscioni e avvocato che ha seguito diverse coppie malate nei ricorsi contro la legge 40. “Ci auguriamo che il ministro Balduzzi voglia rivedere l’orientamento preannunciato e che si adoperi per modificare ciò che l’Europa ci chiede di modificare”. Non è la prima volta che una coppia fertile, in Italia, chiede un figlio “in provetta”. E almeno tre tribunali si sono pronunciati a favore. Com’è possibile? “Sono ordinanze che hanno valore solo per i casi specifici”, spiega l’avvocato. “Perché i pronunciamenti abbiano portata generale, bisogna che il giudice sollevi il dubbio di costituzionalità e che intervenga la Corte Costituzionale. Oppure bisogna rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, come ha fatto la coppia Costa e Pavan”. Un’odiosa discriminazione, secondo Gallo. “Dovrebbero poter accedere alla fecondazione assistita tutti coloro che ne hanno bisogno”. Gli altri aspetti della legge 40, rimasti in vigore dal 2004, riguardano il divieto di fecondazione eterologa e il divieto di utilizzo degli embrioni non impiantati per la ricerca scientifica.