CRONACA – Un cervello grande si accompagna a una riduzione di dimensioni dell’apparato digerente. Il fenomeno è stato osservato per la prima volta in maniera diretta nei pesciolini della specie Poecila reticulata (comuni negli acquari casalinghi).
L’ipotesi del “tessuto costoso” dice più o meno che un cervello grande ha innegabili vantaggi (abilità cognitive più sviluppate, dunque aumentate capacità di sopravvivenza, sia dal punto di vista del procacciarsi il cibo che da quello di sfuggire ai predatori ) ma ha un costo energetico enorme (nell’essere umano la massa del cervello corrisponde a solo il 2% dell’intero corpo ma succhia il 20% delle energia spesa complessivamente). Dunque una specie che via via incrementa atraverso la selezione naturale il volume cerebrale (ammettendo un “assetto” energetico stabile) deve togliere altrove, ma dove? L’ipotesi più accreditata è che l’organo più colpito sia il tratto digerente (cervello e tratto digestivo sono i due tessuti energeticamente più costosi in assoluto) ma finora le uniche prove a favore di quest’ipotesi si sono ottenute solo attraverso correlazioni e la comparazione di specie diverse. Manca una verifica sperimentale diretta, ma un nuovo studio pubblicato su Current Biology prova per la prima volta a colmare la lacuna.
Alexander Kotrschal e colleghi dell’Università di Uppsala, in Svezia, hanno selezionato, scegliendo a ogni nuova generazione individui con le caratteristiche adatte, due popolazioni di “guppy”, un comune pesce da acquario, una col cervello grande e una col cervello piccolo. I due gruppi differivano in media di 9% del volume cerebrale.
Gli scienziati poi hanno fatto qualche conto sui costi. Nei “cervelloni ” maschi l’intestino era il 20% più piccolo del valore medio, nelle femmine cervellone del’8%. Quali sono le conseguenze di questo restringimento? Certamente ce ne sono a livello riproduttivo, hanno testimoniato i ricercatori, visto che i pesci dalla testa grande producevano una discendenza meno numerosa del 19% rispetto alla media.
Messa così sembra che avere un cervello voluminoso porti solo svantaggi, ma c’è da considerare che la situazione studiata è molto lontana dalle condizioni in natura. Come sottolineano gli stessi autori, in laboratorio i pesciolini disponevano di risorse alimentari illimitate (la pancia sempre piena, insomma) ma in natura il vantaggio conferito dall’intestino più efficente viene bilanciato (e molto sicuramente superato) da quello di essere più furbi e quindi più bravi a procacciarsi il cibo (e a non farsi mangiare dai predatori), il che significa molto probabilmente che la discendenza dei cervelloni dallo stomaco meno efficiente sarà più vasta degli altri.
Anche se non chiude il dibattito sull’ipotesi del tessuto costoso (ci sono infatti dati recenti sui primati che suggeriscono che non sia stato l’apparato digerente l’organo a subire le decurtazioni energetiche redirette al cervello) questo studio mostra un metodo interessante per testare un’ipotesi evolutiva in maniera diretta che sperabilmente verrà ripreso in altre ricerche in questo campo.
Cosa impariamo da questo studio (oltre che se la testa cresce lo stomaco si restringe – almeno nei guppy)? Per esempio ci da la possibilità di tornare a ragionare su un’altra ipotesi che seppur piuttosto accreditata è forse poco nota: noi esseri umani abbiamo potuto sviluppare un cervello grande e abilità cognitive sofisticate passando attraverso un cambio di dieta, al quale concorrono sia il fatto di disporre di una maggior quantità di proteine animali sia l’introduzione della cottura dei cibi (il cibo cotto in media è più facile da digerire e fornisce più energia di quello crudo – ragioniamoci un po’ quando sentiamo dire che “il cibo crudo è più in sintonia con la nostra fisiologia”, senza estremizzare da una parte o dall’altra, la dieta migliore è sempre quella varia).
Un altro spunto interessante, infine, secondo me è questo: se l’ipotesi fosse vera avremmo la conferma che se l’ambiente è “ricco” e la pancia è piena l’intelligenza non è poi così vantaggiosa. Meglio essere voraci e avere un buon apparato digestivo.