IL PARCO DELLE BUFALE

La diatomea che cadde dallo spazio (ovvero, la bufala galattica)

Crediti immagine: EPA (dominio pubblico)IL PARCO DELLE BUFALE – Lo scrive Bignami sul blog di Focus, lo riprende anche La Repubblica con tanto di foto (anche se misteriosamente pur apparendo nella pagina delle scienze, il link all’articolo non funziona), e se fate una ricerca su Google ne trovereta a pacchi di siti che ripetono a pappagallo “Trovata la prova dell’origine extraterrestre della vita”.

Con buona approssimazione vi dirò subito che questa notizia è falsa. Sono vari gli argomenti che smontano le conclusioni tratte nell’articolo pubblicato sul Journal of Cosmology, che sono più o meno queste:

In Sri Lanka lo scorso dicembre s’è visto sfrecciare un meteorite nel cielo. I pezzi sono stati trovati per terra e mandati a un laboratorio. Al microscopio sono state osservate delle strutture molto simili alle diatomee (alghe unicellulari). Dato che sono fossili non possono provenire dalla Terra e quindi non sono contaminazioni. Dunque si tratta di vita extraterrestre

Il JoC è un sito online che al di là del nome pomposo, è proprio robaccia. Ne avevamo già parlato qui, e pensate che la stessa presentazione del giornale su Wikipedia mette in dubbio la serietà della pubblicazione. Non mi dilungherò dunque su questo aspetto. Anche l’autore del paper è un partigiano della panspermia, l’ipotesi secondo cui la vita sulla Terra sarebbe arrivata dallo spazio attraverso i meteoriti, teoria in sé non sbagliata, anche se tutta da provare. Chandra Wickramasinghe però è noto per dichiarazioni discutibili secondo cui tutto arriverebbe dallo spazio (compresa l’influenza).

Tutto ciò naturalmente non prova che l’articolo sia sbagliato, solo che noi siamo sospettosi e prevenuti. Giusto. Ma intanto ci si chiede come mai una scoperta di tale portata sia stata pubblicata su un controverso giornale dalla dubbia serietà, e dall’irrilevante impact factor, e non su Nature (e se lo dovrebbe chiedere qualunque giornalista che scriva sull’argomento).

Andando alla ciccia, si può tranquillamente dire che il paper stesso zoppica vistosamente. Leggiamolo. Si dice che un meteorite è caduto nel villaggio di Aranganwila in Sri Lanka e pochi minuti dopo i pezzi sono stati raccolti e spediti per l’analisi. Da chi, in che modo, cosa è stato fatto per prevenire la contaminazione? Non si sa.

L’analisi al microsopio ha mostrato che si tratta di un meteorite carbonaceo. Il team arriva addirittura a identificarlo come proveniente da una formazione associata alla cometa Encke, ma non  vengono dati molti dettagli su come quest’identificazione viene compiuta. Pazienza. Il team addirittura collega la caduta del meterorite con l’episodio di pioggia rossa verificatosi nella stessa zona nei giorni successivi, e sostiene che in altri episodi di pioggia rossa altrove le analisi hanno mostrato la presenza di organismi che non è stato ancora possibile identificare come di origine terrestre (un bel salto logico no?). Infatti aggiungono nel campione si osservano strutture simili a quelle osservate nella pioggia rossa (dei frammenti a ciambella). Boh.

L’analisi al microscopio ha mostrato la presenza di strutture con una forma “biologica ” e, con l’aiuto dello spettroscopio EDX per le strutture più grandi, la sostanziale non differenza fra gli elementi che compongono le strutture (le diatomee) e la matrice che le contiene dimostrerebbe che sono fossili. Per le più piccole la tecnica non è sufficiente.

(Le diatomee sono alghe monocellulari  con un guscio siliceo, anche da vive, per la cronaca).

L’articolo continua, ma credo sia più interessante il commento di Phil Plait sul suo blog Bad astronomy e ripreso da Slate: Plait, noto blogger scirentifico ha consulatato un esperto di diatomee (Patrick Kociolek dell’Università del Colorado di Boulder e direttore del Museo di Storia Naturale dell’istituto), gli ha mostrato paper e foto e gli ha chiesto un parere. Kociolek gli ha detto varie cose: così ad occhio le diatomee sono talmente ben preservate che non sembrano fossili e, a un’analisi fatta solo dalle immagini disponibili, le varie strutture osservate sembrano comuni (e terrestri) diatomee d’acqua dolce (che si trovano ovunque sulla Terra). Anche la variabilità osservata sembra replicare la biodiversità che si osserva normalmente in un campione terrestre. Kociolek dice addirittura che la gamma di esemplari che si vedono mostrano una bella fetta di storia evolutiva terrestre, e gli sembra improbabile che nel campione si trovino solo esemplari ora viventi e nessuno estinto qui sulla Terra, se il campione non è terrestre.

Gli autori del paper escludono la contaminazione per quello che ho scritto sopra e perchè è improbabile che ci fossero diatomee fossili sulla superficie della Terra nel luogo dell’impatto (e perché? o almeno come hanno tratto questa conclusione?) . Gli autori stessi comparano l’immagine di una diatomea nel meteorite e una specie terrestre moderna trovandole identiche, ma per loro questa somiglianza è la prova dell’origine extraterrestre della vita, e non dell’origine terrestre delle diatomee nel meteorite.

Sono strasicuri che si tratti di fossili (che siano dei fossili scrivono è “fermamente stabilito e incontestabile”, un affermazione che pronunciata in ambito scientifico fa alzare più di qualche sopracciglio, trattandosi poi di un unico studio.

Plait, che è un astronomo di formazione, fa anche notare che dall’immagine del meteorite lui dubita che si tratti di un meteorite, potete leggere i dettagli nel suo post.

In ogni caso, concludiamo noi, l’articolo è troppo traballante per poter trarre le conclusioni “incontestabili” che gli autori avanzano. Con uno scenario del genere (e con la posta in gioco) c’è da chiedersi come mai non abbiano approfondito certi aspetti importanti: siamo sicuri che il pezzo raccolto e esaminato è un pezzo del meteorite osservato nel cielo dello Shri Lanka? Siamo sicuri davvero che non sia stato contaminato? Come è stato trattato infatti quando è stato raccolto e spedito, e soprattutto chi l’ha fatto? La forte analogia delle specie osservate con le specie attuali sulla Terra, perché non ha spinto a consultatare qualche esperto di diatomee? E soprattutto perché i revisori di JoC non hanno chiesto tutte queste cose agli autori dello “studio”?

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.