COSTUME E SOCIETÀIL PARCO DELLE BUFALE

Diatomee spaziali: i dubbi degli scienziati

Polonnaruwa - Crediti immagine: MAl BIL PARCO DELLE BUFALE  – Visto che giustamente una lettrice ci fa notare che abbiamo fatto le pulci allo studio sulla diatomea dallo spazio solo basandoci su quello che abbiamo letto in giro (a dire il vero ho letto io stessa il paper, e molti commenti sono derivati da quella lettura) ma non a testimonianze dirette ho pensato di chiedere il parere di qualche esperto. Ho contattato Michele Maris, della sezione triestina dell’INAF, esperto di pianeti, che ha prontamente messo su un team di debunker (insieme a Marcella D’Elia, INFN, e Domenico Licchelli, INAF) e si è messo al lavoro per noi. Inoltre ho lanciato un appello anche oltre oceano a Sandra Pizzarello, biochimica della Arizona State University ed esperta di astrobiologia, che ha subito risposto al mio appello.

Licchelli dice:  “le diatomee ci sono e sono anche carine” però aggiunge che prima di tutto bisognerebbe dimostrare l’origine extraterrestre di quel frammento e sia lui che Maris ne dubitano fortemente. “Quello che mi aspetto è di vedere almeno nella prima delle loro foto la crosta di fusione o un qualche segno di shock termico sul meteorite, cosa che nelle foto non si vede,” spiega Maris.

Anche Pizzarello è d’accordo, le diatomee son carine, ma com’è che  “a nessuno è venuto in mente di farne un’analisi SIMS e vedere se gli isotopi (degli esemplari contenuti nel campione, ndd) sono extraterrestri?”. Pizzarello, che però sottolinea di essere una biochimica, aggiunge “sono tanti anni che maneggio meteoriti carbonacei, che mostrano tipicamente delle formazioni chiamate condruli, cioè delle sfere vetrose visibili ad occhio nudo in una superficie fresca. In quello mostrato nella foto le sfere sono del tutto assenti.”

Anche D’elia suggerisce analisi supplementari che sarebbero dovute esser state fatte. L’affermazione nell’abstract:

Contamination is excluded by the circumstance that the elemental abundances within the structures match closely with those of the surrounding matrix.

(Si esclude la contaminazione per il fatto che l’abbondanza degli elementi entro le strutture – le diatomee – corrispondono esattamente con quelle della matrice che le circonda.)

sembra infatti un po’ sospetta. Se lo spessore della diatomea è piccolo, il segnale dei raggi X [della EDX] nelle analisi elementari potrebbe comunque venire dalla matrice: “occorrerebbe un’analisi più approfondita (ad esempio un profilo che mostri come cambia lo spettro muovendosi lungo la diatomea e al di fuori di essa, o meglio, l’analisi di una diatomea separata dalla matrice, ecc)”.

Sulla contaminazione Pizzarello poi osserva: ” Non è venuta a nessuno la curiosità di vedere se il frammento conteneva composti solubili, per esempio amminoacidi, per verificare se erano contaminanti biogenici (di origine biologica)?”

Nella loro mail cumulativa i tre scienziati (Maris, D’Elia, Licchelli) inoltre sostengono che l’identificazione della cometa da cui arriverebbe il “meteorite”  è oltremodo dubbia “se non si conosce la traiettoria d’ingresso, che si può ricavare solo da una serie di osservazioni della ‘fireball’, potrebbe trattarsi benissimo di una ‘meteorite’ sporadica”. Dunque, ammesso che il frammento sia la meteorite osservata nei cieli dello Sri Lanka, non è così sicuro che provenga da Encke.

I tre astronomi mettono anche in dubbio la connessione tra la meteorite e la pioggia rossa di cui parlano Wickramasinghe & Co. Gli autori del paper infatto dovrebbero “spiegare loro come mai se è caduta una meteorite fatta in quel certo modo consegue una pioggia rossa, fenomeno peraltro spiegato con la contaminazione dell’acqua prodotta da spore algali”. Anche Pizzarello è scettica su questo punto: “non ho capito la storia dei batteri mobili nel meteorite, i meteoriti sono rocce alquanto compatte, da dove sarebbero entrati questi batteri, e in così poco tempo, poi?”

Persino la bibliografia citata nel paper lascia a desiderare: “La letteratura che citano mi pare molto vecchia” scrive Maris. E poi quanta fretta: “la velocità nell’analisi, 12 giorni dall’impatto alla pubblicazione per una notizia così direi che è un pò poco”. Pizzarello rincara la dose: “ogni meteorite nuovo viene guardato, analizzato, comparato… basta vedere come i risultati di quello caduto il maggio scorso in California siano stati pubblicati da Science in Dicembre e ci son voluti settanta e più autori…”

I tre astronomi, come noi, alzano un sopracciglio di fronte al Journal of Cosmology. “La qualità del giornale ci pare ‘dubbia’, in particolare il giornale si propone di pubblicare articoli sui più disparati campi della fisica, dell’astrofisica della biologia e non solo. Va bene la multidisciplinarietà, ma c’e’ un limite. Inoltre se si và a curiosare sul sito si scopre che nella presentazione vantano una reiezione di articoli proposti fino all’80%, dando l’impressione che vogliano far  apparire il giornale come “rigoroso” con il semplice fatto di rifiutare molti articoli.”

Infine l’autore: “N.C.Wickramasinghe è, secondo il sito, ‘Executive Editor’ per “Astrobiology, Cometary Panspermia”, A parte che dal punto di vista logico Cometary Panspermia sarebbe un possibile argomento di “Astrobiology”, essendo editor  è suo compito decidere cosa pubblicare, cosa no …”

Eggià.

Condividi su
Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.