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Soluzioni drastiche per gatti assassini?

1304953088_cf2a4fed22AMBIENTE – Grazioso batuffolo di pelo in casa, spietato assassino fuori. È il gatto e tocca farsene una ragione: perché se al singolo proprietario il topino o il passerotto depositati sullo zerbino sembrano solo un’occasionale dimostrazione dell’abilità venatoria del felino di casa, la realtà è che, nel complesso, il tasso di predazione esercitato dai gatti sulla fauna selvatica è decisamente importante. Gli ultimi dati vengono dagli Stati Uniti e sembrano descrivere una vera ecatombe: secondo le stime pubblicate pochi giorni fa su Nature Communications, ogni anno negli Usa i gatti randagi o semi-liberi (quelli che un tetto per dormire e una scodella con qualche avanzo ce l’hanno, ma passano gran parte della vita in giro) uccidono dagli 1,4 ai 3,7 miliardi di uccelli e dai 7 ai 20 miliardi di piccoli mammiferi. Oltre a qualche centinaio di milioni di rettili e anfibi .

Il gatto, del resto, è predatore e il suo mestiere lo sa fare assai bene. Secondo una review pubblicata l’anno scorso, in varie isole del mondo questo animale è stato responsabile (o tra i responsabili) dell’estinzione di 33 specie di uccelli, mammiferi e rettili classificati nella lista rossa dell’International Union for Conservation of Nature (Iucn). Dall’italiana lucertola di Santo Stefano al topolino dell’isola messicana di Angel de la Guardia (Peromyscus guardia) al parrocchetto dell’isola di Macquarie, a sud dell’Australia. Cose che succedono quando una specie invasiva arriva in un piccolo ambiente confinato, come sono appunto le isole. E a maggior ragione se la specie in questione è considerata una delle 100 invasive peggiori. Secondo gli autori dello studio americano, però, negli ultimi anni si sono moltiplicati i dati che sostengono che ci sia lo zampino del gatto anche nel declino di molte popolazioni selvatiche di uccelli e mammiferi di aree continentali.

«Le stime proposte da Scott Loss e colleghi sono effettivamente impressionanti» commenta Giuseppe Bogliani, etologo dell’Università di Pavia ed esperto di conservazione della fauna selvatica. Mettendo insieme i dati di alcuni studi condotti in precedenza in Europa e negli Stati Uniti, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che ogni gatto domestico porta a casa 4-18 uccelli e 11-29 mammiferi ogni anno. Ai quali vanno aggiunte le prede non riportate e quelle uccise dai randagi.

Già come proprietario di gatti, Bogliani aveva avuto modo di conoscere da vicino le caratteristiche del loro impatto predatorio. «In 15 anni di vita in campagna mi sono visto portare a casa di tutto: pipistrelli, topi domestici e selvatici, ghiri, toporagni e arvicole. Quanto agli uccelli, la prede andavano dai pulcini appena usciti dall’uovo, ai minuscoli pettirossi alle tortore dal collare, con dimensioni di tutto rispetto». Un conto però è l’esperienza personale, un altro una mole accurata di dati. Anche se – ricordano gli autori dello studio – è difficile confrontare l’impatto della predazione sulla fauna selvatica con quello di altri fenomeni di origine antropica, come la mortalità per scontri con edifici.

Stime analoghe per l’Italia non ce ne sono. Anzi, al momento è difficile conoscere anche soltanto il numero di gatti che popolano il nostro paese. Secondo l’ultimo rapporto Assalco-Zoomark International, basato su dati Euromonitor 2011, in Italia i gatti da compagnia sarebbero circa 7,5 milioni, mentre è più incerto il quadro della situazione rispetto ai felini “di strada”. «Di fatto, nessuno si è mai preso la briga di organizzare un censimento accurato e definitivo dei gatti e dei cani vaganti» afferma Eugenia Natoli, biologa ed etologa del Servizio Veterinario dell’Azienda USL Roma D. È comunque molto probabile che anche da noi l’impatto della predazione dei gatti sulla fauna selvatica sia un fenomeno di tutto rispetto. «Penso per esempio a tutta l’immensa conurbazione che si estende intorno a Milano» afferma Bogliani. «Un’area nella quale si insinuano ancora corsi d’acqua circondati da strette fasce boschive che potrebbero rappresentare corridoi ecologici per animali selvatici. Ma che è anche ricchissima di gatti, che di fatto limitano questa possibilità».

A livello globale, comunque, il problema c’è e dunque c’è anche una certa discussione sulle possibili soluzioni. Che, a dire il vero, appaiono quanto mai complicate. Per Loss e colleghi, una prima misura dovrebbe essere messa in atto dai proprietari di gatti: limitare il più possibile le scorribande fuori casa. Più facile a dirsi che a farsi. «E poi, che senso ha per un gatto non poter mai uscire?» commenta Eugenia Natoli. Per la quale la strada possibile è una soltanto: il contenimento delle dimensioni delle popolazioni vaganti con programmi di sterilizzazione. «Chiaro che così non diminuisce l’impatto predatorio dei singoli individui, ma diminuisce il numero di individui in circolazione». Altri, invece, propongono una soluzione decisamente più drastica: l’abbattimento selettivo. Eliminare i gatti per favorire uccellini e roditori. Una soluzione che può avere senso dal punto di vista della conservazione (e che con altre specie è stata effettivamente praticata), raccolta anche dalla blogger e science writer Hannah Waters: il suo post sull’argomento ha suscitato, manco a dirlo, reazioni ferocissime. «Anche da noi sarebbe una soluzione socialmente improponibile» commenta Bogliani. «Per noi i gatti sono connotati positivamente, come animali utili, che cacciano i topi, ci tengono compagnia e fanno felici i bambini. E poi basti pensare alla potenza delle “gattare”: no, no, sarebbe proprio impensabile».

Immagine di Hannibal Poenaru/Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance