CRONACA – Collegare elettricamente i cervelli di due ratti in due continenti diversi, in modo da permettere al primo di ‘parlare’ al secondo: è il risultato di una ricerca della Duke University, Stati Uniti, pubblicata a fine febbraio su Scientific Reports. Si tratta di un passo importante verso il computer organico, un dispositivo che potrebbe permettere a gruppi di animali di condividere informazioni motorie e sensoriali.
“In esperimenti fatti in passato, abbiamo visto che il cervello dei ratti riusciva ad adattarsi in modo da accettare segnali da dispositivi esterni al suo corpo, oltre che a elaborare la luce infrarossa generata da un sensore artificiale. Quindi ci siamo chiesti: e se potesse anche assimilare informazioni da sensori presenti in un altro corpo?”, spiega Miguel Nicolelis, neurobiologo della Duke University e primo autore della ricerca.
Per sondare quest’ipotesi, il gruppo di Nicolelis ha addestrato due ratti a risolvere alcuni problemi: per esempio, a premere una di due leve in risposta all’accensione di una luce. Premendo la leva corretta, il ratto riceveva come ricompensa un sorso d’acqua. Si sono poi collegati i cervelli dei due ratti con una serie di microelettrodi inseriti nella zona della corteccia cerebrale che elabora l’informazione motoria.
Uno dei due roditori è stato designato come il ‘codificatore’, l’altro come il ‘decodificatore’. Il primo riceveva un indizio visivo che mostrava qualche leva premere per avere la ricompensa: una volta premutala, un campione della sua attività cerebrale nel momento della decisione era passato all’altro ratto che, senza ricevere altri segnali, doveva scegliere la leva da premere. Si è così visto che sceglieva la leva corretta in un numero significativo di casi, e che la percentuale di successo del ‘decodificatore’ era appena più bassa che se si fosse inviata direttamente l’informazione visiva al suo cervello.
Aspetto ancora più importante, la comunicazione tra i due ratti era bilaterale. Se il secondo ratto sbagliava leva, il primo riceveva solo una ricompensa parziale; nel test successivo, si è visto che il primo ratto modificava il proprio comportamento migliorando il rapporto segnale-rumore della sua attività cerebrale, in modo che il segnale diventasse più facile da rilevare e decifrare. In effetti il secondo ratto, successivamente, riusciva a indovinare più spesso la risposta corretta, ed entrambi avevano una ricompensa maggiore.
In un altro test, tattile stavolta, si è visto che i ratti, posti in due istituti di ricerca, l’uno in Brasile e l’altro negli Stati Uniti, erano comunque capaci di scambiarsi informazioni nonostante i disturbi e i ritardi nella trasmissione del segnale da un continente all’altro. Nicolelis è perciò arrivato alla conclusione che sia possibile creare reti di cervelli animali dislocati in diverse zone della Terra.
“In pratica – spiega il neurobiologo – quello che stiamo creando è un computer organico, capace di risolvere problemi, in cui il cervello del decodificatore funziona da dispositivo di riconoscimento di pattern. Soltanto che in questo caso non forniamo istruzioni, ma solo un segnale che rappresenta la decisione presa dal codificatore, che viene trasmessa al decodificatore, il quale deve poi operare la scelta. Quindi stiamo creando un sistema nervoso centrale composto da due cervelli di ratto. E potremmo farlo con molti più cervelli: anche se non siamo ancora al punto di prevedere il comportamento di una rete simile, possiamo ipotizzare che sarebbe capace di risolvere problemi irrisolvibili per un solo cervello”.
“Studiando la corteccia sensoriale dei ratti decodificatori – conclude Nicolelis – ci siamo accorti che il cervello di questi ultimi rappresenta nella corteccia tattile non sono le proprie vibrisse ma anche quelle del codificatore. Questo significa che il ratto ha creato una rappresentazione di un secondo corpo, oltre al suo”. In futuro, saranno registrati segnali di circa duemila cellule cerebrali contemporaneamente: sul piano applicativo, una tale quantità di registrazioni permetterà un controllo più preciso delle neuroprotesi motorie, utili a ristabilire il controllo motorio nelle persone affette da paralisi.
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