CRONACA – Un gruppo di ricercatori coordinato dal prof. Migheli dell’Università di Sassari ha identificato il punto debole del tremendo Fusarium culmorum che infesta il grano duro e altri cereali in Sardegna come nel resto del mondo.
Anche nelle università italiane con una reputazione così così, c’è chi fa ricerca bella e utile. Quirico Migheli è un noto specialista del Fusarium nelle sue varie declinazioni, da quello che devastava le palme da dattero in Nord Africa a quello che una signora “del continente” si era presa sbucciando un ananas per cui era finita in ospedale, curata invano per un’infezione batterica.
Da 12 anni con il suo gruppo, Migheli studia sopratutto quello più diffuso nelle colture di frumento in Sardegna: il Fusarium culmorum che dilaga con il caldo e la siccità, e produce micotossine velenose per animali umani e non. Su Plos One, i ricercatori descrivono un gene chiave del F. culmorum, il FcStuA, che codifica per la proteina omonima. Il mutante senza quel gene cresce più lentamente, fa meno spore e micotossine, e non riesce più a infettare le piante. In compenso, ha la stessa suscettibilità e sopratutto la stessa resistenza, un problema crescente, ai tre principali tipi di fungicidi che già contro le fusariosi sono sempre meno efficaci e poco eco-friendly.
Vuol dire che i fungicidi disponibili stanno sbagliando la mira nel F. culmorum. E probabilmente nei simili, aggiungo io, la selezione naturale non avrà sprecato un gene così importante per lo sviluppo e la sopravvivenza. Adesso che se ne conoscono gli effetti, dovrebbe essere possibile trovare o sintetizzare una molecola che blocchi quella proteina, in attesa che gli agronomi selezionino frumento, avena, orzo e altre graminacee alimentari che ci resistano per conto loro.
Gli autori pubblicano, non in open access purtroppo, anche un’ampia rassegna dei danni di quella muffa – e della sua parente stretta F. graminearum – nel mondo, degli studi e dei mezzi per combatterla.
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Aggiunta in tema
Forse interesserà ai lettori che collaborano con Ong umanitarie. Da un confronto tra 98 varietà di riso non aromatico, il più consumato, e 28 varietà aromatiche coltivate in Bangladesh risulta che le varietà aromatiche contengono in media un 70% di arsenico in meno e un 40% in più di micronutrienti come selenio e zinco.
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Crediti immagine: Hans, Pixabay