LA VOCE DEL MASTER – “Un robot non può recare danno agli esseri Umani […]” diceva la Prima legge della Robotica di Isaac Asimov. Non solo non può recare danno, ma può addirittura aiutare. Per esempio i robot potrebbero anche supportare i bambini con autismo nello sviluppare le loro capacità sociali. Un team di ingegneri meccanici ed esperti di autismo della Vanderbilt University, negli Stati Uniti, lo ha dimostrato. Lo studio è stato pubblicato nel numero di marzo di IEEE Transactions on Neural Systems and Rehabilitation Engineering.
A partire dai nove mesi normalmente un bambino comincia a sviluppare quello che gli scienziati definiscono come “attenzione condivisa”, un comportamento che consiste nel cercare di catturare e portare l’attenzione dell’altro, a partire dalla mamma, su un oggetto o una situazione, per condividere un fulcro di interesse. I bambini con autismo, però, faticano a sviluppare questa abilità e ciò comporta una serie di difficoltà di relazione e apprendimento durante la crescita. I ricercatori della Vanderbilt hanno dunque pensato di studiare l’interazione tra bambini autistici (Autism Spectrum Disorders,ASD) e robot appositamente progettati. L’idea iniziale è arrivato da Nilanjan Sarkar, professore di ingegneria meccanica, esperto di sistemi per migliorare l’interazione uomo-macchina. Sei anni fa, mentre visitava dei parenti in India, venne a sapere che al figlio di suo cugino era stato diagnosticato un disturbo autistico. Alcuni studi segnalavano infatti che i bambini autistici mostravano segnali di particolare interesse verso i robot. Bisognava però capire come sfruttare questa loro naturale inclinazione per migliorarne le capacità sociali e relazionali
.
Con il suo team di scienziati, Sarkar ha dunque progettato un ambiente in cui osservare l’interazione tra i bambini e NAO, il robot umanoide scelto per la ricerca. Con pannelli e videocamere posti sulle pareti i ricercatori hanno tracciato i movimenti della testa dei bambini durante le sessioni sperimentali. Per monitorare la direzione del loro sguardo, i bambini, posizionati su una sedia abbastanza alta da permettere loro di fissare il robot negli occhi, indossavano un cappellino da baseball dotato di una striscia di luci a LED. NAO era programmato per dare una serie di ordini verbali, come ‘guarda qui’ e ‘facciamolo ancora’, oltre a compiere gesti come fissare e puntare uno degli schermi, come fanno normalmente i terapisti durante le loro sedute.
I ricercatori hanno studiato una dozzina di bambini tra i 2 e i 5 anni, di cui sei affetti da autismo. Nel corso della ricerca si sono alternate sedute guidate da un terapista umano con sessioni in cui era presente solo NAO e hanno confrontato le reazioni dei bambini. Nel complesso è emerso che i bambini di entrambi i gruppi passavano più tempo a guardare il robot che il terapista. Ma, mentre nelle sessioni guidate dal terapista i bambini con autismo mostravano di essere meno attenti degli altri, l’interazione con i robot è risultata buona in entrambi i gruppi, con in media lo stesso tempo di attenzione.
Per ottenere il risultato migliore con i bambini autistici è risultato fondamentale impostare i robot in modo che si adattassero allo specifico comportamento di ciascuno. Ogni bimbo autistico infatti è diverso dagli altri: “C’è un detto in questo campo, ‘Se hai visto un bambino con ASD, hai visto un bambino con ASD’”, sottolinea Warren, direttore del Treatment and Research Institute for Autism Spectrum Disorders alla Vanderbilt, riferendosi alla varietà delle caratteristiche dei singoli. Anche la continua ripetizione di gesti e suoni da parte dei robot è risultata un elemento di facilitazione nell’interazione.
Di fronte al numero crescente di diagnosi di ASD (1 su 88 bambini, secondo il CDC), la necessità di sviluppare terapie efficaci per migliorare la qualità di vita degli autistici diventa sempre più urgente e studi come questo dimostrano che i robot potrebbero avere un ruolo importante. Affiancandosi ai terapisti umani inoltre i robot porterebbero anche a un notevole risparmio economico: si stima, infatti, che un paziente affetto da autismo costi da quattro a sei volte più di una persona sana. I ricercatori spiegano che con i robot non si mira a sostituire i terapisti, ma la tecnologia potrebbe aiutare i bambini ad acquisire le abilità sociali di cui hanno bisogno. Incoraggiati dai successi con NAO, i ricercatori hanno già cominciato a sviluppare sistemi con robot umanoidi che vanno incontro ad altri deficit dei bambini con autismo, come l’apprendimento della condivisione e dell’acquisizione di ruoli.
Crediti immagine: Jiuguang Wang, Wikimedia Commons