LA VOCE DEL MASTER – Si fa un gran parlare di lampadine a risparmio energetico, seguendo alla cieca una pratica consolidata secondo cui sostituire le nostre vecchie lampadine a incandescenza – quelle classiche, per intenderci – con quelle “a risparmio energetico” rappresenta una pratica “green”. In realtà la questione è più articolata di come sembra a prima vista e può essere proficuo analizzare punto per punto i pro e i contro di questa nostra scelta energetica.
Sul mercato troviamo quattro tipi di lampadine dette “a basso consumo”, diverse fra loro per materiali e usi, ma con la comune caratteristica di consumare meno energia e dunque di costare meno al consumatore. Abbiamo le lampadine a incandescenza migliorate di classe C, che comprendono una nuova classe di lampadine alogene contenenti Xenon, un gas non tossico di per sé, ma che può diventare tossico se utilizzato come composto. Come leggiamo nel sito della Commissione Europea però, queste lampadine di classe C che consumano fino al 25% in meno delle lampadine classiche, nel 2016 dovranno essere sostituite da altre di classe A o B. Queste ultime, dette lampadine a filamento, sono dotate di un rivestimento a infrarossi applicato alla lampadina che ne migliora l’efficienza energetica, fino a raggiungere il 45% di efficienza in più rispetto alle migliori lampadine a incandescenza tradizionali. Il problema è però che le lampadine a tensione di rete hanno bisogno di un trasformatore, che può essere un elemento separato oppure integrato nella lampadina. Poi abbiamo i LED, in realtà ancora poco usati nelle nostre case, ma che riescono a farci risparmiare circa l’80% di energia elettrica.
Una grossa fetta di queste nuove lampadine sono invece quelle dette “a fluorescenza compatte” (CFL), che consumano dal 60% all’80% di energia elettrica in meno rispetto alle lampadine tradizionali e possono avere una durata molto lunga, anche fino a due anni. Le CFL rappresentano oggi la maggior parte del mercato delle lampadine a basso consumo, sono certamente le più scelte dai consumatori. Una spesa di poco maggiore all’acquisto, dato che una lampadina costa mediamente sui dieci euro, ma un guadagno netto e sicuro a lungo termine e di energia, in media 10mila ore di uso a fronte delle 1000 circa delle vecchie lampadine.
Non è solo la riduzione del consumo energetico a guidare il consumatore nell’acquisto. Quali sono infatti i materiali che costituiscono queste nuove lampadine e soprattutto, una volta terminato il loro ciclo vitale, come, dove e con quali costi devono venir smaltite? Le vecchie lampadine, dal punto di vista dei materiali, erano molto semplici: un bulbo di vetro con un filo di tungsteno all’interno, attraverso cui passa la corrente elettrica. La caratteristica principale delle nuove lampadine CFL è invece la presenza di mercurio, un metallo con un potere fortemente inquinante, sia per l’organismo sia per l’ambiente. A causa delle note capacità inquinanti del mercurio, esiste una precisa direttiva europea sul trattamento delle CFL: la Direttiva RAEE del 2003, che impone restrizioni sull’uso di determinate sostanze pericolose nella costruzione di vari tipi di strumenti elettrici ed elettronici. Il 19 gennaio scorso è stata inoltre presentata la Convenzione Internazionale di Minamata, un accordo internazionale che verrà ufficialmente firmato il prossimo ottobre, che prevede una diminuzione della produzione dell’ utilizzo del mercurio a livello mondiale.
Il processo di smaltimento del mercurio prevede che esso debba essere differenziato consegnando le lampadine dismesse al rivenditore o direttamente all’apposito centro di riciclaggio presso le discariche comunali. Ma quanto costa questo stoccaggio in termini economici? E soprattutto: è stata fatta o si sta facendo un’adeguata informazione sull’importanza di non gettare le lampadine esaurite tra i normali rifiuti? Anche qui le domande sono più di una ed è necessario non fare di tutta l’erba un fascio. Il sito della Commissione Europea si limita a suggerire di riconsegnare le lampadine dismesse ai rivenditori, senza però illustrare che cosa accade poi a questi oggetti. In realtà su molti siti dedicati allo smaltimento delle CFL, come il sito della Comunità Europea già citato in precedenza, oppure sul sito della Federazione Europea dei produttori di lampade (ELCFED) si legge che il mercurio proveniente dalle lampade fluorescenti può essere smaltito nei centri specializzati in due modi: una tecnica è basata su un processo attraverso il quale vengono rimosse entrambe le estremità del tubo fluorescente e poi i materiali vengono separati e trattati in modo appropriato. L’altra tecnica consiste nello schiacciare il prodotto completo, dopo di che i vari ingredienti vengono separati ed elaborati. In Italia però, come ci dice il portale del Centro di Coordinamento del RAEE, i siti di smaltimento di rifiuti classificati come R5 – la sigla che corrisponde alle sorgenti luminose – sono molto pochi. Secondo i dati che troviamo sul sito, in tutta la penisola sono presenti 11 centri di smaltimento rifiuti che si occupano anche di rifiuti R5, sei dei quali solo in Lombardia, uno in Piemonte, uno in Friuli Venezia Giulia, uno in Emilia Romagna, uno in Sicilia e uno in Lazio. È evidente che le zone dove questi centri non sono presenti devono sostenere delle spese di trasporto per poter smaltire adeguatamente le lampadine smesse.
Veniamo ora alla questione dei costi. Anche in questo caso si trovano nel web affermazioni contrastanti riguardo l’enorme costo per lo smaltimento di queste lampadine. Vale quindi la pena approfondire e fare luce sulla questione. Come si legge da un documento fornito dal CNR, il costo “di listino” per lo smaltimento di un kg di mercurio è all’incirca 28 euro. Considerando che la legislazione vigente ha fissato a 5mg la quantità massima di mercurio che può essere contenuta in ogni lampadina, ciò significa che con 1 euro si smaltiscono circa 7000 lampadine. Aiutandoci con alcune statistiche, che contano 130milioni di nuove lampadine immesse sul mercato ogni anno, otteniamo che a fine anno il costo delle lampadine da smaltire può raggiungere addirittura un ordine di grandezza di 25mila euro. È evidente che ciò implica anche un costo anche in termini energetici, per far funzionare questi impianti di smaltimento, ma non sembra rappresentare un costo ingente per le casse dello stato.
Ma veniamo ora al tasto dolente. Questi costi rappresentano la migliore delle ipotesi, quella cioè in cui il consumatore è stato adeguatamente informato sull’importanza di riconsegnare le lampadine dismesse al rivenditore o all’eco-centro più vicini e che quest’ultimo abbia provveduto a completare correttamente la procedura di smaltimento. Non è però sempre così e sebbene nel maggio 2011 sia stata promossa una campagna di sensibilizzazione per il riciclaggio delle CFL, promossa da Ecolamp, il consorzio per il recupero e lo smaltimento delle apparecchiature da illuminazione, ancora oggi non tutti i rivenditori accettano di farsi carico delle lampadine usate.
Nel settembre 2012 l’Unione Europea ha vietato la produzione di tutte le ormai obsolete lampadine ad incandescenza, che saranno sostituite da queste “a basso consumo”. Quello che pare interessante è che la questione si pone come una delicata bilancia tra benefici e svantaggi. La chiave per determinare la direzione dell’impronta ecologica delle CFL sembra dunque essere anzitutto la consapevolezza che quello che luccica non è tutto oro, ma nemmeno tutto catrame.