RICERCA – Fino ad alcune decine di migliaia di anni or sono, il continente australiano era abitato da specie molto diverse da quelle attuali: in particolare, tra Australia, Nuova Zelanda e Tasmania erano presenti organismi di dimensioni enormi, se comparate con quelle attuali, la cosiddetta megafauna. Tra queste, troviamo numerosi mammiferi marsupiali, tra cui spiccano il leone marsupiale (Thylacoleo carnifex), il più feroce predatore del continente, e i wombat giganti del genere Diprotodon, che potevano superare le 2 tonnellate di peso.
Ma quali furono le cause dell’estinzione delle circa 90 specie che componevano la megafauna dell’Oceania? Le ipotesi al riguardo sono le stesse due che vengono formulate per spiegare la scomparsa dei grossi mammiferi eurasiatici e nordamericani: i cambiamenti climatici, che avrebbero modificato le condizioni ambientali e reso l’habitat inospitale, e l’arrivo dell’uomo, che avrebbe trovato terreno fertile per la caccia nei confronti di specie non abituate alla sua presenza e che non avevano quindi evoluto strategie antipredatorie. In particolare, la seconda ipotesi è ritenuta da molti la più probabile, in quanto la colonizzazione umana dell’Australia è datata circa 45-50.000 anni fa, quando diverse delle specie in questione erano ancora presenti.
In questo contesto, un nuovo studio comparativo, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, prova a mettere in luce quale sia stato il reale impatto complessivo della presenza umana sulla fauna del continente. Dalle approfondite analisi sui resti fossili di questi animali, emerge che questa ipotesi può essere accettata solo per una piccola percentuale delle specie analizzate (solo 8-14 specie su 90). Al contrario, 50 specie della megafauna sembrerebbero sparire dal record fossile circa 130.000 anni fa, ben prima che l’uomo mettesse piede in Australia. Sebbene sia certamente possibile che diverse di queste fossero ancora presenti e che non ci abbiano lasciato resti su cui lavorare, tali risultati indicano che l’effetto delle attività umane non sia stato così determinante nel determinarne l’estinzione.
È più probabile, concludono i ricercatori, che l’uomo abbia contribuito alla scomparsa delle ultime specie rimaste nel continente, precedentemente già decimate da un imponente cambiamento climatico, che interessò la regione più meridionale dell’emisfero australe nel corso degli ultimi 450.000 anni, che avrebbe fortemente incrementato la superficie delle zone aride, causando una contrazione degli areali di numerose specie.
Riferimento:
Stephen Wroe, Judith H. Field, Michael Archer, Donald K. Grayson, Gilbert J. Price, Julien Louys, J. Tyler Faith, Gregory E. Webb, Iain Davidson, and Scott D. Mooney. Climate change frames debate over the extinction of megafauna in Sahul (Pleistocene Australia-New Guinea). PNAS, 2013 DOI: 10.1073/pnas.1302698110
Crediti immagine: Karora, Wikimedia Commons