CRONACA – Avete mai fatto caso a quanto tempo vi serve per fare un calcolo a mente, a quante volte riuscite a dare la soluzione corretta o a quanta fatica si faccia a fare simili operazioni?
Riuscire ad elaborare i dati necessari a un calcolo matematico a mente è una delle operazioni più complesse che possiamo affidare al nostro cervello e non sempre la soluzione arriva corretta … quando arriva. Prestazione migliorabili? Secondo Roi Cohen Kadosh dell’Università di Oxford sembrerebbe proprio di sì.
La matematica a mente non sarà più un problema, secondo lo scienziato e il suo team infatti, basta “accendere” il cervello. In un articolo apparso sulla rivista Current Biology, i ricercatori dimostrano come le performance matematiche possano essere notevolmente migliorate attraverso una tecnica chiamata transcranial random noise stimulation o TRSN, ovvero stimolazione elettrica non invasiva di specifiche zone del cervello. La tecnica consiste in sostanza nell’eccitare i neuroni attraverso elettrodi piazzati in prossimità dell’area responsabile della matematica “a mente”, ovvero la corteccia prefrontale.
La questione non giunge nuova. Già nel 2010 il gruppo di studio aveva dimostrato come la particolare tecnica chiamata “transcranial direct current stimulation (TES)” potesse migliorare l’elaborazione e il processamento di simboli numerici.
Un passo ulteriore è stato fatto a marzo 2013 quando sul Journal of neuroscience il team pubblica un nuovo risultato che mette in luce progressi e alcune problematiche. I dati, infatti, sembrano dimostrare che la questione non è così semplice: premendo l’interruttore giusto migliorano sì alcune performance cognitive, ma a scapito di altre. Durante questo esperimento la stimolazione poteva essere applicata o nella zona della corteccia parietale posteriore – area responsabile dell’apprendimento numerico – o nella corteccia dorsolaterale prefrontale ovvero l’area responsabile dei comportamenti automatici; in alcuni casi inoltre, benchè gli elettrodi venissero applicati, non veniva trasmessa alcuna stimolazione. Chi era stato stimolato nella zona della corteccia posteriore otteneva una performance migliore nelle prove che richiedevano abilità di apprendimento, ma peggiore invece risultava quella legata alle prove che richiedevano abilità automatiche. Viceversa nei pazienti stimolati a livello prefrontale; chi invece non era stato affatto stimolato otteneva risultati intermedi in entrambe le prove.
“Se ottenere prestazioni migliori comporta un costo”, concludeva Cohen Kadosh “bisogna trovare il modo di ottimizzare la stimolazione per limitare o eliminare gli effetti secondari”.
A maggio il sogno sembra diventare realtà. Nel più recente studio, infatti, oltre a quelle matematiche sono state testate anche ulteriori abilità senza osservare alcun effetto secondario. Su 51 soggetti testati, 25 sono stati trattati con TRNS e 26 sono stati lasciati inconsapevolmente senza stimolazione. Dopo 5 sessioni di trattamento della durata di 40 minuti ciascuna, avvenute in 5 giorni consecutivi, i soggetti stimolati hanno dimostrato un notevole miglioramento espresso sia in rapidità di calcolo che tempo mediano di reazione con risposta corretta. A cosa è dovuto questo miglioramento? Per scoprirlo i ricercatori hanno condotto un esperimento parallelo per monitorare le risposte fisiologiche nei soggetti trattati con TRSN. Attraverso una spettroscopia ad infrarosso hanno misurato le variazioni nel passaggio di ossigeno nel cervello. Il risultato è che la TRSN sembra aumentare l’efficienza con cui le aree stimolate usano le loro riserve di ossigeno e nutrienti. Un’ulteriore importante evidenza è che l’effetto benefico della stimolazione produce effetti a lungo termine. Testati dopo sei mesi, i soggetti trattati mostravano ancora una rapidità di calcolo migliore (28%) rispetto a quelli non trattati.
Naturalmente la storia ha bisogno dell’aggiunta di ulteriori capitoli prima che si possa parlare di un’applicazione su larga scala, ma i notevoli risultati ottenuti fin qui fanno ipotizzare il possibile utilizzo della tecnica nella riabilitazione di pazienti che hanno subito traumi a livello celebrale o nei bambini che dimostrino difficoltà nell’apprendimento.
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