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Dalla clonazione alle staminali: vicissitudini di una ricerca “appeal”

Credit ceonycCRONACA – Dobbiamo tornare indietro di 17 anni per vedere l’applicazione della tecnica del trasferimento nucleare dare vita alla famosa pecora Dolly, che ha fatto capolino su riviste e copertine patinate di tutto il mondo. Questo sistema ha permesso, come è noto, di ottenere una pecora con il patrimonio genetico identico alla madre, attraverso un sistema che implicava l’inserimento del DNA della cellula somatica della madre nella sua cellula uovo privata del nucleo. La procedura è stata portata avanti fino alla nascita di Dolly.

Ma perché non usare la stessa tecnica per ottenere cellule staminali embrionali? Queste cellule sarebbero del tutto identiche a quelle dell’individuo al quale vengono trapiantate a fini terapeutici. Significa quindi fermarsi prima di arrivare all’individuo, ottenere un embrione dal DNA di una cellula dell’adulto. Le difficoltà tecniche però hanno creato non pochi grattacapi a questa intuizione: si è infatti gridato “al lupo, al lupo” nel 2004, con il lavoro – poi rivelatosi falso e non riproducibile da altri laboratori – del ricercatore coreano Hwang Woo-suk.

Di sei anni fa, quindi del 2007, è invece il successo di Shoukhrat Mitalipov che ha applicato la tecnica alle cellule di scimmia, primate più vicino all’uomo, riuscendo a ottenere le staminali embrionali tanto desiderate e pubblicando dopo sei mesi di revisione, il risultato su Nature. Un anno prima – nel 2006 – ha fatto la sua comparsa un nuovo approccio completamente diverso, che parte da cellule adulte e ne “azzera” per così dire il differenziamento, riportandole allo stadio di staminali pluripotenti: si chiamano cellule IPS, ossia Induced Pluripotent Stem cells. A oggi Mitalipov sembra avere ottenuto cellule staminali embrionali dal trasferimento nucleare di cellule umane in cellule uovo private del nucleo. Il risultato, pubblicato su Cell, ha ottenuto una forte eco mediatica, ma ha anche sollevato qualche dubbio a causa di alcuni errori individuati da un anonimo commentatore.

Abbiamo chiesto alcune precisazioni a Paula Amato, ricercatrice autrice dello studio della Oregon Health & Science University, e a Paolo De Coppi, ricercatore e primario di chirurgia pediatrica all’University College di Londra, una disamina dello studio e delle criticità di questa nuova “moda” scientifica.

Paula Amato, come avete ottenuto queste cellule staminali embrionali?

L’embrione è stato ottenuto attraverso il trasferimento di una cellula somatica di un donatore all’interno di una cellula uovo privata del nucleo. La cellula uovo è stata attivata e ne è stata indotta la divisione cellulare, in modo da diventare un embrione, secondo un processo chiamato partenogenesi. Le cellule staminali sono state ottenute dalla massa cellulare interna dell’embrione e quindi fatte crescere in coltura su piastra per creare una linea cellulare.

Le cellule staminali embrionali ottenute in questo modo sono identiche alle cellule embrionali ottenute da fecondazione?

Sì, per quanto posso affermare fino a ora, le cellule ottenute con la tecnica del trasferimento nucleare sembrano del tutto identiche a quelle ricavate da un embrione ottenuto per fecondazione.

Come viene provata la funzionalità di queste cellule?

Innanzitutto verifichiamo che siano geneticamente identiche alla cellula somatica donatrice e quindi che si possano differenziare in vitro in differenti tipologie di cellule: cardiache, nervose, epatiche …

Per verificarlo abbiamo inoculato le staminali in topi immunodepressi (per evitare il rigetto, non essendo i donatori) e stimolato la proliferazione e il differenziamento in diversi tipi di cellule.

Un commentatore ha trovato alcuni errori nel paper …

Ci sono stati alcuni errori nel raccogliere le immagini da inviare per la pubblicazione. Alcune sono state inviate due volte e altre invece non sono state allegate al paper. Questo non influenza la validità dei dati.

Per quanto ne sappiamo fino a ora le cellule staminali embrionali ottenute con questa tecnica sembrano comportarsi in modo del tutto simile a quelle prelevate da embrioni ottenuti per fecondazione.

Quali sono state le difficoltà?

Nel passato e prima delle attuali modifiche nel metodo, gli embrioni creati con il trasferimento nucleare erano in grado di svilupparsi solo fino a un certo punto, ma si fermavano prima di raggiungere lo stadio embrionale da cui prelevare le cellule staminali. Questo sistema è infatti molto instabile e delicato.

Per questo il “rischio clonazione umana” sembra lontano?

Sì, non abbiamo mai ottenuto una clonazione utilizzando questa tecnica nelle scimmie. Ci sono differenze tra un embrione ottenuto per fecondazione e uno ottenuto con la tecnica di trasferimento nucleare, e queste differenze hanno delle conseguenze sulla possibilità di arrivare fino alla clonazione dell’individuo.

Paolo De Coppi, quali sono i problemi di queste ricerche?

La tecnica di clonazione per trasferimento del materiale nucleare da una cellula somatica a una cellula uomo ha funzionato molto bene con alcuni animali, come la famosa pecora Dolly del 1996. In quasi vent’anni i progressi fatti nelle tecniche sono ovviamente notevoli, ma le difficoltà sull’uomo e su alcuni primati sono ancora moltissime. Il sistema infatti non è stabile e la divisione cellulare si blocca prima della fase utile in cui trovare e isolare le cellule staminali.

Solo nel 2011 in Nature era stato pubblicato un lavoro in cui si dimostrava che per far sì che la replicazione avvenisse, si doveva lasciare in situ il materiale derivato dalla cellula uovo, in modo tale da supportare la replicazione cellulare. Le cellule embrionali così ottenute non erano però utili per la terapia, poiché triploidi, ossia con 3 copie di ciascun cromosoma (e non 2). Una copia derivava dalla cellula uovo e 2 dalla cellula somatica di origine. Sembra che Mitalipov e il suo team siano riusciti a far procedere la replicazione in modo da formare cellule embrionali senza lasciare del materiale genetico dell’ovulo donatore.

Sono stati fatti diversi tentativi …

Sì, il problema è che si tratta di un settore scientifico che genera molti interessi. Anche la scienza ha le sue mode e alcuni settori sono più competitivi e complessi rispetto ad altri. Le cellule staminali hanno questa caratteristica perché hanno importanti conseguenze terapeutiche e il fatto di ottenerle dallo stesso individuo su cui verranno poi trapiantate permette di evitare il rigetto e la necessità di terapie di immunosoppressione preventive.

Ed è questo “appeal” a rendere diffidenti?

Lo studio coreano, i cui risultati pubblicati su Nature non erano riproducibili, si è rivelato una vera e propria frode, spinti dalla voglia di arrivare per primi in questo settore: i dati erano stati inventati e quando sei anni fa Mitalipov è riuscito a ottenere queste cellule embrionali a partire dalle cellule somatiche delle scimmie, quindi avvicinandosi all’uomo, Nature ha voluto andare con estrema cautela, applicando una revisione di circa sei mesi per evitare entusiasmi eccessivi con il rischio di pubblicare i dati in modo troppo veloce.

Come ha fatto Nature a verificare questo primo passo avanti nelle scimmie?

Ha fatto ripetere l’esperimento a un altro laboratorio, in modo da garantire la riproducibilità dei risultati ottenuti, oltre alla classica peer-review, ossia la revisione tra pari. Questo ovviamente ha rallentato il processo di pubblicazione dei dati.

Anche Cell ha fatto la stessa cosa?

No, in questo caso Cell ha pubblicato in modo veloce, forse troppo veloce: sei giorni. E infatti sono venuti subito alla luce errori, anche abbastanza grossolani. Sono state utilizzate figure uguali per lo stesso lavoro. Non si tratta di un falso, ma di solito si utilizza più di una immagine, per mostrare la solidità del processo e la sua riproducibilità. Inoltre anche le didascalie erano sbagliate, probabilmente per un problema di spelling. Gli scienziati dovranno ora dimostrare che questi errori sono dovuti alla fretta e alla disattenzione, e non sperimentali.

E per quanto riguarda le IPS?

Questo lavoro è stato pubblicato per la prima volta nel 2006 da Cell ed è stato ripetuto molto velocemente da altri lavori, tanto che nel 2012 Yamanaka ha vinto il premio Nobel per la medicina. Se ora digito su Pubmed la parola chiave “IPS” trovo ben 5.000 lavori già pubblicati, e questo fa capire quanto sia solida quella ricerca. Se anche questo lavoro venisse velocemente confermato da altri gruppi, allora assumerebbe una rilevanza enorme.

Quali sono vantaggi e svantaggi delle staminali embrionali ottenute per trasferimento nucleare rispetto a quelle “classiche”?

Allora, come le dicevo non generano problemi di compatibilità, poiché mentre l’embrione ha un patrimonio genetico diverso da quello del paziente, queste cellule invece si ottengono proprio da una cellula somatica del paziente stesso. Inoltre risolverebbero il problema etico dell’embrione, anche se comunque si porrebbe il problema del reperimento dell’ovulo e potrebbero, almeno in teoria, porre le basi per la clonazione umana e infine sono molto potenti, difficili da direzionare e spesso possono dare origine a tumori, ma questo vale per tutte le staminali pluripotenti.

E rispetto alle IPS ci sono differenze?

Questo è un punto importante ancora da verificare. Le IPS sono ottenute da cellule somatiche adulte e sono riprogrammate grazie a fattori appropriati, per tornare a essere staminali pluripotenti. Per questo motivo sono un po’ diverse dalle embrionali pure. Se io prelevo una cellula dal cuore e la riprogrammo, ottenendo una IPS, questa è potenzialmente in grado di diventare qualsiasi altra cellula. In realtà se fornisco alla IPS i fattori per diventare cellula cardiaca non avrò alcun problema, se invece somministro fattori per diventare cellula epatica o neuronale, non è detto che tutte lo facciano. È come se nella cellula sia rimasto nel DNA una sorta di “imprinting” del suo differenziamento e della sua storia. La teoria vorrebbe che le cellule di Mitalipov siano più simili alle embrionali “classiche”, ma è ancora da dimostrare.

Come si riconoscono e si caratterizzano le cellule staminali?

Grazie alla loro forma, all’aspetto, alla presenza di alcune proteine tipiche che fungono da marker, e infine alla loro potenzialita’, poiché nelle condizioni opportune riescono a differenziarsi in diversi tipi di tessuto. Questo significa che le cellule che vengono differenziate in epatociti, le cellule del fegato, per esempio, devono anche funzionare come epatociti e quindi produrre le sostanze tipiche del fegato come l’urea e l’albumina. In questo studio di Mitalipov sono state eseguite tutte queste caratterizzazioni, per questo si presuppone che lo studio sia solido.

Quindi stiamo assistendo a un traguardo importante …

Indubbiamente, se fosse confermato, si tratterebbe di un traguardo tecnicamente importante. Ora infatti questa tecnica è possibile solo negli animali, ed è usata in veterinaria per ottenere cavalli da corsa, mucche da latte e tori da inseminazione, a partire da DNA di un animale con le caratteristiche desiderate. I risultati della pecora Dolly non sono quindi rimasti in ricerca, ma sono approdati anche alle aziende, che utilizzano queste conoscenze a scopi produttivi.

Crediti immagine: ceonyc, Flickr

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