CRONACA – Le celle solari continuano a diventare più efficienti, grazie a nanomateriali a volte inattesi. L’ultimo progresso è dovuto anche a Francesco Stellacci, un ricercatore italiano che vorremmo segnalare anche perché ha “fatto la cosa giusta”.
Alla fine dell’anno scorso, un suo lavoro sull’oro nanostrutturato “a strisce”, del 2004 quando era ancora al Massachusetts Institute of Technology – adesso dirige un laboratorio al Politecnico di Losanna – ha destato polemiche anche se era stato replicato da altri gruppi. Senza esitare, Stellacci ha messo tutti i dati on-line e sembra essersi fidato troppo del software che dai dati del microscopio a scansione tunnel (STM), estrae immagini colorate di configurazioni regolari, forse illusorie. Nessuna polemica invece sui suoi stracci in nanofibre, assorbono solo gli idrocarburi, ideali per pulire le chiazze in mare e molto ecologici: si strizzano per recuperare fino all’ultima goccia di petrolio e si riutilizzano.
Su Nature Materials ora Stellacci pubblica insieme a colleghi del Politecnico e del Technion, in Israele, nanostrutture che formano grani quasi regolari, evidenti anche nelle immagini grigie della “analisi STM classica” di cui si è occupato. Su un elettrodo, gli autori hanno depositato uno strato di ferro ossidato (Fe2O3, ematite) che si addensa spontaneamente in nanostrutture che chiamano “campionesse”. Quando si mette al Sole una cella fotoelettrochimica (PEC) all’acqua distillata, infatti, sull’elettrodo si formano bollicine di idrogeno:
queste campionesse raggiungono la fotocorrente più alta ottenuta da un fotoanode fatto di qualunque ossido di metallo, e sono in grado di spaccare molecole d’acqua con 100mW/cm2.
L’efficienza del 15% è invidiabile e il comunicato stampa del Politecnico di Losanna – con belle immagini a colori! – accenna infatti all’economia all’idrogeno annunciata da Jeremy Rifkin e altri più di dieci anni fa:
L’obiettivo a lungo termine è produrre ossigeno – il carburante del futuro – nel rispetto dell’ambiente e in modo competitivo. Per Michael Grätzel (coordinatore della ricerca, ndt) “i metodi attuali in cui una cella fotovoltaica convenzionale è accoppiata a un elettrolizzatore per produrre idrogeno, costano come minimo 15 € al chilo. Miriamo a una carica di 5 € al chilo”.
Grätzel spera che l’Unione Europea e la Confederazione Elvetica investiranno in ulteriore ricerca e pare probabile, dopotutto è l’inventore della PEC che porta il suo nome, leggera, robusta e poco costosa. Questa volta propone anche un metodo per stabilire quali cristalli hanno la conformazione e l’orientamento giusto per far fluire gli elettroni. Non solo in grumi di ematite. E l’elettrodo arrugginito potrebbe migliorare altri tipi di celle solari, come quelle allo studio per separare il carbonio dalla CO2.
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