CRONACA – I mammiferi possono scegliere. Leoni, gazzelle, cavalli e primati sono in possesso di un meccanismo che permette loro di tenere sotto controllo il sesso della prole – e in particolare la proporzione fra i sessi – per assicurarsi un maggiore successo riproduttivo. È un importante vantaggio adattativo, e il merito va soprattutto alle femmine.
Come rivela uno studio firmato da ricercatori della Stanford University School of Medicine – e pubblicato su PLOS ONE – le femmine sarebbero infatti in grado di selezionare strategicamente gli spermi che permetteranno lo sviluppo dei sessi di cui ci sarà maggiore bisogno nell’immediato futuro. “Ci piace pensare alla riproduzione come al risultato di una competizione fra maschi per la conquista delle femmine”, ha dichiarato l’autore principale dello studio, Joseph Garner. “Ma in realtà le femmine investono molto di più dei maschi, e devono prendere decisioni fortemente strategiche riguardo alla riproduzione basandosi sull’ambiente, sulle loro condizioni e sulla qualità dei loro partner”.
Per giungere a queste conclusioni, Garner e colleghi hanno preso in esame i dati provenienti da 90 anni di eventi riproduttivi avvenuti nello zoo di San Diego, che hanno riguardato 678 diverse specie, per un totale di ben 38,075 individui. Le specie appartenevano ai gruppi principali di mammiferi, quali primati, carnivori, artiodattili e perissodattili. L’obiettivo cercato e poi raggiunto dai ricercatori era di ricostruire per tutti gli animali un preciso pedigree composto da tre generazioni. In tal modo hanno potuto dimostrare che i “nonni” e – soprattutto – le “nonne” ingaggiano una sorta di scommessa biologica per decidere il sesso su cui puntare per le generazioni future.
Le ragioni per le quali scegliere il sesso della progenie è più conveniente che lasciare il loro destino nelle mani del caso sono diverse, e sono legate in vario grado alle condizioni ambientali presenti in quel particolare momento. Come affermano i biologi Trivers & Willlard (non direttamente coinvolti nello studio), le femmine in condizioni migliori dovrebbero essere in grado di produrre più maschi, perché sono il sesso più costoso da allevare (e da portare in grembo). Ma scegliere di mettere al mondo soprattutto maschi è una scommessa più rischiosa, perché alcuni potrebbero non accoppiarsi mai, mentre altri potrebbero diventare padri di decine se non centinaia di individui (e questo vale soprattutto nelle specie poligame, in cui ad accoppiarsi sono solo i maschi di rango più elevato, come i cosiddetti maschi alfa). Ma le “nonne” sembrano vincere le loro scommesse il più delle volte. Si è visto – infatti – che quando la loro prole è composta soprattutto da maschi, questi avranno 2,7 figli pro capite in più rispetto ai maschi nati in una cucciolata costituita da un’uguale proporzione di maschi e femmine.
I risultati di questo studio – per quanto sorprendenti – non sono affatto inattesi, ma vanno anzi a confermare una teoria fondamentale della biologia evolutiva, proposta già negli anni ’70: i mammiferi puntano su un meccanismo fisiologico sconosciuto per manipolare il sesso della prole, per migliorare il loro successo riproduttivo.
Il meccanismo è oggi finalmente dimostrato valido nell’arco di ben tre generazioni, ma i principi fisiologici alla base del suo funzionamento restano ancora ignoti. Un’ipotesi è che le femmine riescano a controllare gli spermi “maschili” e “femminili” grazie alla loro diversa forma mentre essi si muovono attraverso la mucosa del tratto riproduttivo, rallentando o velocizzando la corsa degli spermi che intendono selezionare.
Nuovi studi potrebbero fare luce in futuro anche su questi aspetti più prettamente anatomici, ma ciò che più conta è che questa scoperta può avere importanti implicazioni sul piano conservazionistico: una migliore comprensione della manipolazione della sex-ratio negli individui tenuti in cattività potrà forse aiutarci a preservare le specie più minacciate.
Crediti immagine: Fabio Perelli