ARCHEOLOGIA – Una nuova specie o individui patologici di una specie già nota? È la domanda che si sono posti i paleontologi fin dal momento della scoperta dei resti, nel 2003, dell’Homo floresiensis, subito soprannominato ‘lo hobbit’ a causa della sua statura. Esaminando i nove scheletri parziali, incluso un cranio completo, trovati sull’isola di Flores, in Indonesia, i ricercatori si sono trovati di fronte al dubbio che il floresiensis potesse rappresentare una specie distinta di Homo, forse originata da popolazione nana di Homo erectus dell’isola, o invece un umano moderno affetto da una qualche patologia responsabile delle dimensioni ridotte del cervello e del cranio.
Alcune delle possibili spiegazioni proposte sono state la microcefalia, la sindrome di Laron o l’ipotiroidismo endemico (conosciuto come ‘cretinismo‘). La scoperta ha scatenato, soprattutto dal 2005 in poi, una battaglia accademica a colpi di articoli, che smentivano l’uno le conclusioni a cui era arrivato l’altro. Nel 2007, dopo aver studiato le ossa del polso del floresiensis e averle trovate simili a quelle dei primi hominini come l’australopiteco e degli scimpanzé, e differenti da quelle degli umani moderni, due ortopedici pubblicarono prove a sostegno della tesi che lo hobbit fosse una specie di Homo. Tuttavia, dieci anni dopo la scoperta indonesiana, l’origine dell’Homo floresiensis resta molto dibattuta, e le domande critiche sono ancora senza risposta.
Ora, però, un gruppo di ricercatori europei e americani sembra essere arrivato a una conclusione definitiva della diatriba: i risultati del gruppo sono stati pubblicati sulla rivista Plos One.Per venire a capo della disputa, i ricercatori di diverse istituzioni statunitensi e tedesche (Stony Brook University di New York, Senckenberg Center for Human Evolution and Palaeoenvironment, Università Eberhard-Karls di Tubinga e Università del Minnesota) hanno effettuato un’analisi tridimensionale dei dati raccolti, usando come metro di paragone tra i resti trovati i punti anatomici rilevanti provenienti da superfici craniali, cioè quei punti come cavità nasale, oculare e buccale, la cui posizione resta più o meno invariata all’interno di una popolazione.
Gli scienziati hanno applicato i metodi della morfometria geometrica in 3D per comparare la forma del cranio trovato a quella di molti resti fossili umani, e a un campione nutrito di crani umani moderni affetti da microcefalia e da altre condizioni patologiche. I metodi della morfometria geometrica usano le coordinate 3D dei punti di riferimento anatomici della superficie del cranio, l’imaging computerizzato e la statistica, per ottenere un’analisi dettagliata delle forme possibili di questa struttura. Quello del gruppo è lo studio più esteso mai condotto finora, e i risultati hanno fornito un supporto convincente all’ipotesi che l’Homo floresiensis sia stata una specie distinta di Homo.
Lo studio è arrivato alla conclusione che il cranio trovato mostra maggiori affinità al campione di resti fossili umani che agli umani moderni patologici. Benché si siano trovate alcune somiglianze superficiali tra i crani fossili, quello scoperto sull’isola e quelli di umani moderni patologici, altre caratteristiche accomunano il cranio oggetto di studio esclusivamente all’Homo fossile.
Crediti immagine: Ryan Somma, Wikimedia Commons