SALUTE – Andreste dal geriatra a 25 anni, per prevenire l’invecchiamento? Forse no. Però potreste andare da un medico anti-aging, per un programma su misura che vi accompagni lungo le decadi. Ma di cosa si occupa questa branca della medicina, un semplice “prevenire è meglio che curare” o c’è molto di più? Ne abbiamo parlato con Filippo Ongaro, consulente dell’Esa, Agenzia Spaziale Europea, e vicepresidente dell’Amia, Associazione Medici Italiani Anti-aging.
Abbasso l’invecchiamento, è questo il messaggio?
Io non ho niente contro l’invecchiamento, sono contro il diventare vecchi. La medicina anti-aging vuole potenziare le capacità funzionali di un essere umano, applicando conoscenze scientifiche avanzate e mantenendo l’autosufficienza il più a lungo possibile. In contrasto, in un certo senso, con geriatria e gerontologia, che non fanno nulla finché il paziente non è anziano e ammalato, e lo bombardano di farmaci: gli allungano la vita, ma non ne migliorano la qualità. Il modello vincente? Un paziente sano fino alla fine, sulle sue gambe fino alla fine.
Una medicina che prescrive…cosa?
Una medicina che prende un soggetto al meglio della sua condizione psicofisica, e nel corso degli anni la mantiene in maniera attiva tramite il giusto apporto nutrienti, dieta, attività fisica, integratori, controllo dello stress. Il risultato dovrebbe essere la compressione della malattia nel periodo finale della vita, lasciandole il più breve spazio possibile.
“Invecchiare” avrebbe tutto un altro significato insomma
Si, è un concetto che va riconsiderato. Quando invecchiamo incorriamo nello stress ossidativo da radicali liberi, crollo dei livelli ormonali, deterioramento immunologico, diminuzione delle funzioni cellulari. Una fotografia completa delle funzionalità del nostro organismo ci permette di mantenerlo il più possibile vicino al livello ottimale. La durata e la qualità della vita sono determinate da un equilibro delicato: crescita, replicazione cellulare, processi di riparazione dei danni, perché l’organismo non è mai statico, ma sempre plastico. Basta pensare al DNA, che accumula decine di migliaia di micro mutazioni al giorno: per grossa parte della vita non ci creano problemi, grazie all’elevata capacità di riparare i danni, ma nel tempo questa capacità decresce.
La variabile quindi è il tempo, in tutti i sensi
Si. La realtà in cui viviamo si è modificata troppo velocemente per le capacità di adattamento del nostro DNA: questo fa emergere le malattie. Basta confrontare le cause di morte nel 1900 e 100 anni dopo, per rendersi conto di cosa è cambiato. Prima avevamo polmonite, tubercolosi e malattie infettive dell’apparato gastrointestinale. Poi disturbi cardiaci, cancro, infarto: le malattie del sistema cardiocircolatorio e i tumori sono tra le principali cause di decesso. Cause in parte prevenibili.
Ma per delle sane abitudini, non sarebbe sufficiente il consiglio di un medico di base?
Il medico di base non è educato per contemplare il quadro completo, non ha le competenze per fare il punto della situazione clinica. Al contempo, la medicina specialistica fa perdere di vista il contesto, concentrandosi sui singoli organi e apparati. Un esempio? L’insulino-resistenza è coinvolta anche con il cancro, non solamente con il diabete, ma al giorno d’oggi per ogni sintomo si va da un medico diverso, si prendono farmaci diversi. Dopo due farmaci assunti, c’è già più del 90% del rischio di interazione, e la media della popolazione sopra i 70 anni ne assume 5 0 6.
Però un medico può sempre aggiornarsi
Anche se un medico leggesse 2 articoli al giorno, in un anno rimarrebbe indietro di 9 secoli di letteratura pubblicata. Inoltre, nel tempo c’è stato un disaccoppiamento tra il mestiere che impari e come lo applichi su te stesso: medici che fumano, dietologi sovrappeso. Una figura che perde in credibilità, non un esempio. Ai coffee break dei congressi medici? Ci sono sempre i pasticcini.
“Mangiare ci fa belli”, un libro e un dogma?
Si, anche se oramai è considerato quasi naturale ingrassare invecchiando. Di certo siamo programmati per aumentare di peso, perché veniamo da un mondo in cui il cibo non c’era: però non era un fenomeno patologico, lo è diventato. Tuttavia “alimentazione equilibrata” è difficile da definire, i nostri alimenti non sono più quelli di una volta e siamo esposti a un sacco di tossine. La detossificazione dell’organismo, ad esempio, non è passiva, ed è necessario un introito costante di nutrienti che servono al fegato per lo smaltimento.
Anche la nostra alimentazione ha subito modifiche troppo veloci?
Certamente, agricoltura e allevamento hanno liberato per l’uomo la risorsa tempo. Un momento di rottura col mondo naturale, perché abbiamo iniziato a cibarci di cose che non avevamo mai mangiato prima. La natura, se non la addomestichi, ti da molto poco, e noi non nasciamo fruttariani ma carnivori. Dove volete che la trovasse la frutta, l’uomo? Infatti, diversamente da quanto si sente spesso dire, non è la carne in quanto tale a fare male, non è un bovino che viene lasciato al pascolo 36 mesi per raggiungere il giusto peso. A far male sono gli animali obesi alimentati forzatamente, che perdono in Omega 3 e sono invece ricchi di Omega 6, che sono infiammatori.
Lei è anche consulente dell’Esa: cosa ci fa l’anti-aging nello spazio?
Sei mesi nello spazio equivalgono, grossomodo, a dieci anni sulla Terra, e la permanenza in orbita di lunga durata è un modello di invecchiamento accelerato: non ci sono ritmi circadiani e la quantità di lavoro di un’astronauta è elevatissima. Purtroppo ci sono solo una manciata di soggetti per ogni volo, e questo non permette studi di potenza statistica elevata. Però sappiamo che si modifica l’espressione genetica, c’è perdita di tessuto osseo, cambiamenti cardiovascolari, sarcotenia, resistenza all’insulina. Per non parlare delle conseguenze a livello psicologico. Quello che possiamo fare è intervenire sull’alimentazione degli astronauti, con il giusto apporto di nutrienti.
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