CRONACA

Nuvole

CRONACA – Nuovi dati dell’esperimento CLOUD, al CERN, smentiscono tuttora l’ipotesi sulla causa del riscaldamento globale che doveva dimostrare. Ma ora collaborano anche ricercatori che non negano l’effetto serra della CO2 e la camera di simulazione produce conferme interessanti.

Nei rapporti dell’International Panel on Climate Change mancano le nuvole. Influenzano più il tempo a breve termine che la tendenza del clima ed erano poco studiate, perciò gli scettici le hanno spesso usate per sostenere che i modelli di proiezione erano inaffidabili o per avanzare tesi alternative sulle cause del riscaldamento globale.

La tesi del danese Henrik Svensmark, accolta con favore anche in Italia, è che il riscaldamento degli ultimi decenni sarebbe tutto colpa del Sole. Più precisamente, sarebbe dovuto al declino dei raggi cosmici in arrivo dalla galassia, perché una crescente attività solare li schermerebbe, impedendo loro di formare, con i composti volatili presenti nell’atmosfera terrestre, i nuclei di condensazione attorno ai quali si aggrega il vapore acqueo e quindi le nubi in bassa quota. Proprio le nubi che riflettono verso l’esterno la radiazione solare e fanno ombra, per così dire.

Ecco perché farebbe più caldo.

In realtà l’attività solare è semmai in lieve calo, il flusso dei raggi cosmici va e viene come prima e, a differenza della temperatura, l’estensione della coltre nuvolosa resta stabile. Comunque si sa poco delle interazioni in atmosfera tra i composti volatili naturali e antropici, in concentrazioni note e ignote. Dopo un periodo inconcludente, alcuni chimici e fisici dell’atmosfera non “scettici” sono andati ad aiutare i colleghi. Sarebbe stato un peccato sprecare una bellissima camera a nebbia collegata a fasci di pioni, le particelle ionizzanti che imitano i raggi cosmici.

Così due anni fa la collaborazione CLOUD rinfoltita confermava che l’acido solforico reagisce con l’ammoniaca e facilita la formazione di nuclei attorno alle quali si addensa in gocciole il vapore acqueo. Nella nuova pubblicazione anticipata on-line da Nature, questa volta conferma che le ammine – parenti dell’ammoniaca prodotte dal decadimento della materia organica, in agricoltura per esempio – reagiscono mille volte più dell’ammoniaca con l’acido solforico. E che il loro tasso di nucleazione non aumenta in modo rilevante quando sono “bombardate” con pioni.

In condizioni realistiche insomma, l’effetto dei raggi cosmici sulle nubi è molto vicino a zero.

L’esperimento è una semplificazione, ovviamente, l’atmosfera non contiene solo due composti volatili e le ammine sono presenti in concentrazione infima, una o due parti per migliaia di miliardi in volume. I risultati non sono né nuovi né “scoperte”, come scrive il comunicato stampa del CERN: quel tasso è già stato osservato in natura.

Ma anche le conferme servono. In conclusione, gli autori accennano a un futuro abbastanza probabile perché le ammine sono sempre più usate per catturare la CO2 emessa da motori, impianti industriali, centrali termoelettriche ecc.

Se le emissioni di ammine dovessero raggiungere regioni intonse, oltre lo strato limite planetario, e innescarci una nucleazione, potrebbero avvenire aumenti sostanziali dei nuclei di condensazione delle nubi. Ciò sottolinea l’importanza di monitorare le emissioni delle ammine e dell’anidride solforosa (un gas inquinante prodotto dalla combustione di carburanti fossili che in aria si ossida, diventa acido solforico e ricade in “piogge acide”, ndt) nel valutare l’impatto delle attività umane sulla forzante radiativa degli aerosol nel clima regionale e globale.

Per le novità sulle nubi in bassa ed alta quota invece, conviene leggere le ultime pubblicazioni di Ilona Riipinen e del suo gruppo, all’università di Stoccolma.

Crediti immagini: Vignetta riprodotta per gentile concessione di Jill e David Archer; grafico di Vieira e Solanski, Astronomy & Astrophysics, 23 novembre 2009.

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