CRONACA – DIY, ovvero Do It Yourself. Lo conoscete forse per il bricolage casalingo e per il giardinaggio, ma la versione elegante dell’ ”arrangiarsi” si affaccia ora su un ambito tutto nuovo: la creazione della strumentazione per un laboratorio scientifico, homemade (si fa per dire) e spiegata in un nuovo libro edito da Elsevier, Open-Source Lab.
L’autore, Joshua Pearce, non usa mezzi termini per commentare il suo lavoro: “questo è l’inizio di una vera e propria rivoluzione scientifica” e molti ricercatori a corto di fondi saranno certamente d’accordo. Open-Source Lab è davvero una guida step-by-step per creare l’attrezzatura di un laboratorio, partendo da un kit di base: una stampante 3D, software open-source e modelli digitali liberi. Pochi elementi per ridurre i costi da 10 a 100 volte, anche nel caso di strumentazione sofisticata, mantenendo l’open-source come perno intorno al quale ruota il lavoro: gli stessi primi due capitoli del libro sono consultabili gratuitamente, e altre sezioni verranno nel tempo rese disponibili sull’Elsevier Store.
Pearce è professore associato alla Michigan Technology University, e ha iniziato a stampare attrezzatura in 3D dopo aver pagato 1.000$ un elevatore da laboratorio, un oggetto che “non fa altro che spostare le cose su e giù”. Una spesa che Pearce non ha digerito, e lo ha portato a costruire insieme ai suoi collaboratori una copia funzionante, o meglio, a stamparla. Il costo? Circa cinque dollari. E da quel momento Pearce non si è più guardato indietro, anzi ha cominciato a sperimentare e unire differenti strumentazioni, personalizzandole. Sul suo tavolo, spiega, c’è un gadget multifunzione: può misurare la torbidità dell’acqua come un nefelometro ed effettuare analisi chimiche basate sul colore come un colorimetro. Comprarli entrambi sarebbe costato più di 4.000$, mentre per l’ibrido da lui progettato è stata sufficiente una spesa di circa 50 $, che ha compreso anche l’acquisto di un microcontroller (rigorosamente open-source), sensori e LED.
Ma il risparmio è solo l’inizio. Costruendo la strumentazione in questo modo, spiega Pearce, i ricercatori hanno completo controllo sul loro laboratorio. I design sono fluidi e possono essere scambiati e confrontati facilmente, come ci si scambia le ricette di cucina, e potrebbero in futuro modificare le dinamiche stesse della ricerca che diventerebbe collaborativa al 100%. I device progettati possono inoltre evolversi secondo le necessità, non diventando mai obsoleti e permettendo alla tecnologia di abbattere l’ostacolo dei costi.
Replicare il lavoro di un altro ricercatore nel proprio laboratorio diventa così molto più facile ed economico, e scienziati di tutto il mondo possono contribuire al miglioramento dei modelli, lavorando direttamente dai loro paesi senza il bisogno di spostarsi per avere accesso alla strumentazione più sofisticata: scienza dinamica, finalmente, e una vera comunità scientifica globale. Secondo Pearce, la parte migliore dell’open-source 3D printing è proprio l’open-source: rendere disponibili online i propri modelli, fornendo feedback continuo a quelli degli altri. Un tipo di condivisione delle idee che velocizzerà i processi lavorativi, e come spiega l’autore alla fine del libro, la cosa più importante ora che siamo agli inizi è non fare affidamento sui modelli già disponibili, ma mettersi in gioco e condividere, condividere, condividere. Open-source for open-science.
Crediti immagine: Bart Dring, Wikimedia Commons