Stampa 3D e medicina: il progresso corre veloce
Organi artificiali e protesi a basso costo: le possibilità della stampa 3D si aprono all'ambito della medicina rigenerativa e promettono un aiuto per chi ha una disabilità.
SENZA BARRIERE – Nel 1983, grazie a un’intuizione dell’ingegnere statunitense Chuck Hull, nacque la stereolitografia, la prima tecnica di stampa 3D che permetteva di realizzare singoli oggetti tridimensionali a partire dai dati digitali elaborati da specifici software. Questa tecnica fu impiegata fin da subito come sistema di prototipazione rapida, poiché in grado di creare in tempi brevi e a basso costo oggetti da testare prima di passare alle fasi di produzione industriale. A distanza di più di trent’anni dall’invenzione di Chuck Hull molte cose sono cambiate. Il 3D printing ha compiuto passi da gigante e c’è chi, ormai da tempo, parla dell’avvento di questa tecnologia come di uno dei segni evidenti di una Terza rivoluzione industriale già in corso. Oggi è possibile stampare in 3D alimenti come cioccolato, ravioli, cracker o pizze; oppure realizzare materiali di costruzione come la pietra, stampare oggetti di uso domestico e persino adoperare il 3D printing nello spazio, in assenza di gravità.
I successi più significativi della stampa 3D, tuttavia, si riscontrano in ambito medico. Solo qualche mese fa, i ricercatori della Wake Forest Institute for Regenerative Medicine di Winston-Salem, in North Carolina, hanno realizzato una stampante 3D in grado di creare organi, tessuti e ossa che, se necessario, potrebbero sostituire quelli originali: si tratta di Itop (Integrated tissue and organ printing system). Gli scienziati statunitensi, dalle pagine di Nature Biotechnology, hanno illustrato come la stampante 3D realizzi i pezzi di ricambio biologici combinando una plastica biodegradabile (che conferisce struttura al prodotto di stampa) con un gel a base acquosa, contenente cellule umane e in grado di preservarne la crescita. I tessuti stampati con il bio-inchiostro sono stati poi impiantati con successo nei topi.
Allo stesso modo, i ricercatori della Northwestern University hanno realizzato ovaie artificiali capaci di restituire la fertilità. Le bioprotesi, testate su roditori, sono state stampate sfruttando un materiale biocompatibile a base di collagene e hanno permesso la riproduzione delle cavie. I risultati dello studio, annunciati durante il meeting annuale della Endocrine society di Boston, tenutosi poche settimane fa, suggeriscono che la tecnica possa essere utilizzata in futuro per aiutare le donne con problemi di riproduzione.
Un altro traguardo importante raggiunto grazie alle innovazioni apportate dal 3D printing riguarda il primo trapianto facciale integrale, eseguito da Eduardo D. Rodriguez, chirurgo plastico del NYU Langone Medical Center su Patrick Hardison, pompiere 41enne sfigurato in modo gravissimo dalle fiamme. Durante l’intervento, durato ben 26 ore, Rodriguez e la sua equipe hanno provveduto ad adattare la struttura scheletrica del viso del paziente a quella del donatore, creando una corrispondenza fedele tra le due fisionomie facciali. Per farlo, si sono serviti di placche di materiale biocompatibile e sterilizzabile, progettate tramite software e stampate in 3D.
L’impiego di componenti realizzati con il 3D printing, tuttavia, non si limita solo al campo chirurgico. Sono molti gli ausili medicali pensati per chi ha particolari esigenze o specifiche disabilità. Lo sa bene Open BioMedical, un’iniziativa no profit nata a Teramo nel 2014 con lo scopo di realizzare e distribuire tecnologie biomedicali stampabili in 3D, a basso costo e open source. La community creata da Open BioMedical è formata da specialisti (ingegneri, programmatori, informatici e sviluppatori) provenienti da tutto il mondo, impegnati nella realizzazione di varie idee. I dati scientifici prodotti dai partecipanti sono in continuo aggiornamento e possono essere consultati liberamente in rete. L’impegno della community ha portato alla realizzazione di molti progetti a basso costo, destinati a tutti, anche a chi vive in condizioni precarie. Tra i vari progetti, ricordiamo Wil (Wired limb), una protesi meccanica studiata per le persone che hanno perso un arto. L’azionamento della protesi è gestito dal movimento del polso ed è guidato da un sistema di tiranti. L’ausilio è realizzato con materiali semplici e a basso prezzo come l’abs (acrilonitrile-butadiene-stirene) e il pla (acido polilattico), polimeri termoplastici che consentono di stampare le varie parti della protesi, assemblata in seguito.
Crediti: Open BioMedical initiative
Accanto a Wil, tra i successi di Open BioMedical ricordiamo anche Fable (Fingers activated by low-cost electronics), protesi elettromeccanica pensata per chi ha subito un’amputazione o è affetto da una malformazione congenita. Fable consente a chi la indossa di muovere le dita, grazie all’acquisizione di impulsi mioelettrici generati dalla contrazione dei muscoli prossimi al gomito.
Crediti: Open BioMedical initiative
Infine, occorre ricordare Bob (Baby on board), l’incubatrice neonatale dal costo contenuto, riproducibile ovunque grazie ai dati open access consultabili online e realizzabile con stampanti 3D. Bob nasce con l’intento di preservare i bambini delle zone povere del pianeta. Si stima, infatti, che il 75% delle morti neonatali avvenga nelle prime settimane di vita a causa dell’assenza di apparecchiature biomedicali come le classiche incubatrici, costose e di difficile gestione. Bob, stampabile in 3D, di facile realizzazione e dal costo ridotto potrebbe, dunque, salvare molte vite.
Crediti: Open BioMedical initiative
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