SALUTE – È questo il pensiero che accomuna migliaia di malati posti di fronte a nuove cure sperimentali e potenzialmente ‘miracolose’. Malati afflitti da condizioni debilitanti per le quali cure definitive ancora non ci sono, e quelle convenzionali a volte non costituiscono che un sollievo temporaneo.
Sull’onda dell’emotività, preoccupati per la propria salute o per quella di un parente, è molto facile farsi convincere a provare le cure sperimentali, potenziali ‘miracoli’ che a volte vengono spacciati per l’avanguardia scientifica e in altri casi per l’antica saggezza di tradizioni ormai perdute; ma interrompere i trattamenti convenzionali per provarne di sperimentali può essere molto rischioso, come può esserlo sottoporsi a entrambi contemporaneamente, perché il rischio di interferenza è spesso elevato.
Eppure l’informazione viaggia veloce e il web pullula di siti che propongono cure straordinarie, offrendo grazie al passaparola un megafono a voci infondate. Se sembra troppo buono per essere vero, probabilmente è proprio perché non lo é. Proprio per cercare di fare chiarezza sull’argomento, e fornire a chiunque gli strumenti per poter comprendere se e quando una cura è affidabile, dal sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), nella sezione dedicata al cittadino, è scaricabile la guida ‘Non ho nulla da perdere a provarlo’.
Informazioni, informazioni ovunque!
Come spiega il vademecum dell’AIFA, tra le prime lezioni di cui far tesoro c’è l’importanza della ricerca delle fonti, e la necessità di non fare troppo affidamento su titoli giornalistici eclatanti. La vera storia dietro a un titolo ‘gonfiato’ è sempre molto più complicata di quanto appaia. In ogni caso i media hanno bisogno della notizia che attiri l’attenzione e spesso si urla al miracolo in titoli poi smentiti dagli articoli, nei quali si precisa che la nuova cura è magari solo all’inizio della sperimentazione, oppure che è stata testata solamente su modelli animali e non è ancora stata approvata per l’utilizzo sugli esseri umani.
L’iter d’approvazione di un nuovo farmaco è un procedimento lungo e complesso, e riportando una nuova scoperta è fondamentale precisare a quale livello sia arrivato lo studio. Inoltre “Segno di un buon lavoro giornalistico è quando l’autore nomina la rivista scientifica su cui la ricerca è stata pubblicata”, ovvero fornisce un’informazione completa, indicando chiaramente il paper al quale si riferisce nel suo articolo, un paper che ha superato il controllo di revisori indipendenti con ampia esperienza, ed è quindi una valida fonte.
Notare bene: una cronaca giornalistica non è di per sé una fonte, ogni affermazione deve basarsi su studi scientifici. Molti aspetti di questa prima parte della guida AIFA per i pazienti riconducono dunque a una conclusione allarmante, ovvero che la cattiva informazione è spesso il terreno fertile in cui crescono le speranze dei pazienti nei confronti di cure sperimentali senza alcuna base scientifica.
Il marketing delle cure sperimentali
Se le cure sono disponibili solamente su internet, e il trattamento non è regolarmente prescrivibile da un medico, fatevi qualche domanda; deve essere autorizzato, e per una precisa indicazione terapeutica. Se vi siete trovati a leggere aneddoti ed esperienze personali di ex pazienti che dichiarano di aver visto numerosi miglioramenti, o addirittura di essere vicini alla guarigione, insospettitevi.
E ricordate che ad alcuni pazienti vengono riconosciuti sconti sui trattamenti in cambio di testimonianze positive, e altri possono essere vittime dell’effetto placebo, convincendosi dell’efficacia nell’entusiasmo del momento. Non è una coincidenza se, nei trial clinici, gli effetti dell’assunzione di un farmaco vengono confrontati con quelli scatenati da un placebo (totalmente privo di principi attivi) senza che gli individui sottoposti all’indagine siano a conoscenza di quale dei due hanno assunto.
Trattamento, in ogni caso, non è sinonimo di cura.
Comprendere bene il rischio e i suoi numeri
“Attenti alle notizie di ‘grandi’ rischi relativi che ignorano i rischi assoluti”, spiega Michael Blastland nel vademecum AIFA. Sì, perché se doveste imbattervi in un ‘rischio aumentato del 20%’, una percentuale che presentata in questi termini spaventa, potrebbe anche voler dire che da 5 casi su 1000 siamo passati a 6 casi su 1000. Ovvero, un rischio assoluto di un caso in più ogni migliaio di pazienti. È inutile dunque farsi prendere dal panico anche per un ‘rischio raddoppiato’ se non abbiamo idea di quale fosse il rischio iniziale: la variazione va contestualizzata. La soluzione, secondo Martin Wiseman del World Cancer Research Found, è relativamente semplice: “continuando a fare domande di solito è possibile distinguere la verità dalla finzione”.
Niente trial clinici. Ma se costa caro, deve funzionare per forza
No. Basta pensare che molti farmaci efficaci già diffusi hanno costi irrisori, proprio perché sono in commercio da così tanto tempo da non essere più coperti dal brevetto. Il modo migliore per scoprire se un trattamento è sicuro ed efficace, leggiamo sulla guida AIFA, è testarlo scientificamente. Per i trattamenti ciò avviene attraverso rigorosi trial clinici, che spesso coinvolgono un ingente numero di persone e si basano su standard di sicurezza molto elevati.
Su dieci farmaci sperimentati uno solo arriva sul mercato, e “se una sperimentazione è genuina e degna di fiducia, non ti verrà mai chiesto di pagare un trattamento”. Possono volerci anni per effettuare i trial clinici, ma se un farmaco li supera tutti può essere commercializzato a fronte della minuziosa conoscenza di tutti i suoi benefici (e potenziali rischi). Molte terapie non autorizzate e rimedi alternativi non vengono sottoposti a standard di verifica così elevati, si rischia perciò di scegliere trattamenti non efficaci, o peggio, dannosi.
Naturale meglio del chimico, sempre. Sempre?
Alcuni prodotti che vengono venduti come ‘naturali’ o ‘erboristici’, spiega la guida AIFA, sono spesso considerati più sicuri dei cosiddetti prodotti ‘chimici’. In realtà, tutto è composto da sostanze chimiche, qualunque nome gli venga dato, e al contempo i prodotti commercializzati come ‘naturali’ non vengono sottoposti alle rigorose verifiche di efficacia cui vanno incontro quelli convenzionali. Per non parlare del fatto che sono molto costosi, e spesso per risparmiare li si acquista online dove il mercato pullula di contraffazioni, che ancor più degli originali possono rivelarsi estremamente pericolose.
Cosa può fare un cittadino in prima persona?
Come spiega la guida AIFA, le possibilità di essere coinvolti non mancano. Tra queste:
- partecipare alle sperimentazioni cliniche, se rientra nei criteri di reclutamento;
- contattare istituti di beneficenza che si occupano di ricerca, promotori pubblici e comitati etici ospedalieri, per entrare eventualmente a farne parte;
- raccogliere fondi, entrando a far parte di organizzazioni che finanziano la ricerca;
- fare rete, organizzandosi in gruppi di pazienti che si sostengono e si tengono reciprocamente aggiornati sulle ricerche più recenti.
Per concludere, una testimonianza riportata dalla guida AIFA che si commenta da sola. “Penso che le cellule staminali possano essere la cura del futuro, e il lavoro serio non dovrebbe essere sabotato dai ciarlatani”, Jane Clarke, affetta da morbo di Parkinson. E in anni come questi, in cui i ciarlatani che cavalcano l’onda delle staminali vanno di moda, guide per i pazienti come quella dell’AIFA si rendono sempre più necessarie affinché tutti possano prendere decisioni consapevoli, e ricominciare ad attribuire la giusta fiducia agli esperti nel settore.
Qui trovate la guida ‘Non ho nulla da perdere a provarlo’.
Crediti immagine: zhouxuan12345678, Flickr