CRONACA – Le piante. Necessarie perché ci facciamo pranzo e cena, medicine e oggetti per la casa, ma anche pericolose, a volte tossiche, velenose, urticanti. Immaginate quanto deve essere stato difficile per i nostri antenati cacciatori-raccoglitori decidere quali mettersi in bocca e quali evitare accuratamente: un dilemma che, fatte le debite proporzioni, si pone ancora oggi per i cuccioli d’uomo. I quali, in effetti, sembrano proprio possedere un innato “senso per le piante”: meccanismi e strategie mentali utili sia per capire che le piante sono fonti alimentari, sia per proteggersi dai potenziali pericoli vegetali. Di che strategie si tratti lo spiegano i risultati del lavoro delle psicologhe Annie Wertz e Karen Wynn, dell’Infant Cognition Center dell’Università di Yale. Vediamo.
La prima sfida è capire che le piante, ebbene sì, si mangiano. Come raccontato su Psychological Science, Wertz e Wynn hanno mostrato a un gruppo di bambini di 18 mesi d’età un adulto che prendeva e mangiava un’albicocca secca staccandola o da una piantina (finta ma del tutto simile a una vera) oppure da un oggetto artificiale analogo a una pianta per struttura, ma argentato e inserito in un cilindro di vetro. In un secondo esperimento, l’adulto prendeva il frutto sempre dalle stesse strutture, ma anziché mangiarlo lo portava dietro l’orecchio. Dopo ciascuna dimostrazione, le psicologhe hanno chiesto ai bambini rispettivamente quale frutto potesse essere mangiato e quale frutto potesse essere usato. Ebbene, mentre nel secondo caso i piccoli hanno scelto a caso tra le albicocche appese alla pianta e quelle appese all’artefatto, nel primo caso hanno scelto soprattutto le albicocche della pianta, nonostante lo sperimentatore avesse mangiato pure quelle raccolte dall’artefatto. In un terzo esperimento, l’adulto si limitava a guardare i frutti sulle due strutture e a chiedere ai bimbi “quale mangeresti”? Di nuovo i bambini hanno scelto a caso tra i due gruppi di albicocche.
Nel complesso, questi dati dicono che in qualche modo i bambini “preferiscono le piante” – cioè le riconoscono come commestibili rispetto a oggetti artificiali – ma solo se hanno visto un adulto portarle alla bocca. In gioco ci sono dunque due meccanismi: sia un apprendimento di tipo sociale (l’imitazione del più grande), sia il fatto che questo apprendimento non vale per tutto ma si concentra invece su alcune “entità”, come appunto le piante. Wertz e Wynn, inoltre, hanno osservato che il “riconoscimento” delle piante come “cibo” è molto precoce e avviene già a sei mesi: piccoli di questa età, infatti, guardano molto più a lungo un adulto che mangia un frutto raccolto da un artefatto rispetto a un adulto che mangia un frutto raccolto da una pianta (l’osservazione prolungata si verifica di un presenza di un comportamento ritenuto insolito e inatteso).
E per quanto riguarda la protezione dal pericolo? Sta nel fatto che bimbi anche molto piccoli sono piuttosto riluttanti a toccare le piante, rispetto ad altri oggetti. Wertz e Wynn lo raccontano in un articolo pubblicato su Cognition: bambini tra gli 8 e i 18 mesi, seduti in braccio a un genitore, sono più propensi a toccare oggetti artificiali (noti o sconosciuti) che piantine di prezzemolo o di basilico. Il che non significa che i bimbi possano essere lasciati incustoditi a esplorare un giardino botanico: prima o poi finirebbero per mettersi in bocca qualcosa di insano. Per le due psicologhe, però, è indubbio che i piccoli mostrano una particolare cautela nei confronti del mondo vegetale, probabile eredità di un antico meccanismo di sopravvivenza.
Immagine: abbybatchelder / Flickr