AMBIENTE – Oltre 100 atleti delle olimpiadi invernali hanno recentemente firmato una petizione per chiedere ai governi di impegnarsi per contrastare il cambiamento climatico. Ma davvero persino il mondo dello sport è minacciato da questo mutamento di scala planetaria? In una parola sì, e le olimpiadi invernali sono solo la proverbiale punta dell’iceberg.
A Sochi stiamo vedendo come le alte temperature costringano le maestranze a utilizzare un’armata di cannoni per la neve artificiale, ma i negazionisti hanno ancora gioco facile nel dire che l’errore è stato nella scelta della località, non nel fatto che il pianeta si è riscaldato, eppure la realtà è che in futuro sarà sempre più complicato decidere dove tenere le olimpiadi. Stando a un recente rapporto dell’Università di Waterloo oltre la metà del luoghi scelti per le olimpiadi dal 1981 a oggi, compresa Torino, per il 2080 non saranno più idonei ad ospitare il grande evento.
Non sono però solo gli sport invernali a essere minacciati. Tutti gli sport all’aperto stanno patendo le conseguenze di un mondo più caldo. In alcune aree diventa più complicato mantenere i prati in buona salute sia a causa della siccità, sia per l’intensificarsi di ondate di calore, e la calura rende ovviamente più rischioso praticare alcuni sport. E le grandi associazioni sportive stanno già correndo ai ripari per proteggere quello che, ricordiamolo, è anche un business miliardario: a novembre la National Hockey Association, la National Basketball Association la Major League Baseball e la Women National Basketball Association, assieme alla delegazione olimpica statunitense, si sono incontrate col senatore democratico Sheldon Whiteouse proprio per discutere gli sforzi che stanno compiendo per limitare il loro l’impatto ambientale, specialmente in termini di emissioni. Le squadre, ad esempio, riciclano, installano pannelli solari e pale eoliche nei campi, e investono nelle energie rinnovabile.
Questa sensibilità pare diffusa: anche gli organizzatori di Sochi 2014, pur in una nazione che dimostra un certo disinteresse nei confronti della cooperazione internazionale a salvaguardia del clima, hanno fatto in modo di ridurre il più possibile l’impatto della manifestazione, con l’obiettivo (forse un po’ troppo ambizioso) di essere “carbon neutral”, come già accaduto nei Giochi Olimpici del 2010 a Vancouver.
Che l’attivismo degli sportivi, e soprattutto gli immensi interessi economici i ballo, abbia qualche possibilità in più di smuovere i governi all’azione?
Crediti immagine: Daniel Scott, University of Waterloo