AMBIENTE

Biodiversità e aree urbane: l’inaspettata utilità dell’urbe

Wrona_siwaCRONACA – In uno scenario che sembrava unicamente drammatico, lo studio condotto dai ricercatori del UC Santa Barbara’s National Center for Ecological Analysis and Synthesis apre uno spiraglio di possibilità nella gestione e interpretazione urbanistica. Da uno studio condotto su 147 diverse città risulta infatti che, sebbene impoverita, la biodiversità urbana riflette ancora tratti nativi e preziosi della biodiversità locale. Lo studio, finanziato dalla National Science Fundation e pubblicato fra i proceedings B del giornale della Royal Society of Biological Sciences, riporta dati incoraggianti: le città ospitano ancora, eccezion fatta per le specie ubiquitarie  come gli onnipresenti piccioni, centinaia di differenti specie di uccelli e migliaia di piante. Molti di questi sono specie endemiche e riflettono l’unicità biologica della geografia dell’area. Le città sono responsabili di un’innegabile perdita di biodiversità e omogenizzazione del biota ma, se reinterpretate, possono rivelarsi improbabili ma moderni rifugi di specie endemiche e minacciate.

I ricercatori hanno messo insieme dati di letteratura e di recenti campagne di monitoraggio per creare uno dei più grandi dataset relativo a due taxa di organismi presenti nelle diverse città: uccelli e piante (spontanee). “Un prezzo per l’urbanizzazione lo dobbiamo pagare” dice Frank La Sorte, ricercatore associato presso il Cornell Lab of Ornithology e coautore dell’articolo. Il fatto è che a questo stadio della nostra espansione in cui più della metà della popolazione mondiale vive in ambienti urbanizzati, lo studio suggerisce che forse alcuni paradigmi e punti di vista vanno cambiati.

“È indubbio che l’urbanizzazione porti ad una perdita di biodiversità” commenta Madhusudan Kattimembro del Department of Biology at California State University “ma possiamo vedere questo scenario come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, le città infatti possono giocare un ruolo fondamentale nella conservazione e protezione di specie animali e vegetali native”. Lo studio prova a guardare oltre il limite della perdita di densità di biodiversità generata dall’espansione urbana per valutare quanto e cosa sopravviva effettivamente in questo tipo di ambienti. Risultati sorprendenti sono stati ottenuti nell’osservazione di aree verdi come Central Park, piccolo fazzoletto verde, se rapportato alle dimensioni della metropoli. Qui infatti è stato registrato un numero talmente alto di specie da generare il così detto “Central Park Effect” ossia l’effetto generato dalla presenza di aree urbane verdi sulla biodiversità.

Nonostante l’innegabile perdita di densità, sostengono i ricercatori, le specie hanno trovato modo di adeguarsi al contesto urbano che ospita centinaia di specie di uccelli e migliaia di differenti piante. Anche specie endemiche, minacciate o a rischio di estinzione sono state osservate nelle città. E proprio qui sta il cambio di paradigma. Forse a questo punto non bisogna limitarsi al pensiero della valutazione di quanto negativo sia l’impatto della crescita urbana sulla biodiversità, ma fare piuttosto di “necessità virtù”. Partendo infatti dai risultati positivi rilevati dallo studio, ripensare alla gestione e alla strutturazione urbana facendone strumento di conservazione e protezione. Non tutto è perduto, e fortunatamente  molte specie hanno trovato modo di adattarsi al nuovo tipo di ecosistema artificiale. Tenendo conto, come insegna il “Central Park Effect”, della fondamentale importanza di aree verdi, anche di piccole dimensioni come rifugio o sosta migratoria, cominciare a interpretare la città non solo come fattore di impoverimento di biodiversità, ma anche come possibile strumento di conservazione di specie endemiche, a rischio,  rappresentative di  biodiversità regionale e globale.

Crediti immagine: Shalom, Wikimedia Commons

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Anna Sustersic
Mi occupo di comunicazione scientifica legata principalmente a temi di conservazione della natura e attualmente collaboro in Tanzania con PAMS Foundation sviluppando un progetto dedicato all’uso della comunicazione per la promozione della coesistenza fra uomo a fauna selvatica. Dopo il dottorato in Scienze ambientali, ho ho conseguito un master in comunicazione della scienza presso la SISSA di Trieste con una tesi sulla sensibilizzazione dei giovani alle tematiche scientifiche. Ho lavorato come educatore ambientale presso diverse aree protette. Successivamente mi sono interessata alla scrittura come mezzo per la divulgazione scientifica legata a temi naturalistici/conservazionistici. In quest’ambito sono stata collaboratrice e consulente presso musei scientifici, testate giornalistiche nazionali e internazionali, aree protette, case editrici scolastiche e Istituzioni trattando temi legati alla natura e alla sua tutela. Ho scritto diversi libri e guide per sensibilizzare e divulgare temi legati all’ambiente e la sua tutela: "L’anima Perduta delle Montagne" (Idea Montagna – 2019) e, con Filippo Zibordi, "Sulla Via dell’orso. Un racconto Trentino di uomini e natura" (Idea Montagna, 2016) e "Parco Adamello Brenta – Geopark" (PNAB – 2018).