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Obiettivo per le città: essere smart entro il 2050

800px-Downtown_Sofia_Boby_Dimitrov_1SPECIALE APRILE – È dal 2009 che il numero degli abitanti in città ha superato quelli delle campagne. E il divario è destinato a salire: nel 2030 le persone che abiteranno in città saranno 5 miliardi, il 61% della popolazione mondiale. Secondo una stima delle Nazioni Unite, anche l’Italia vedrà sempre più abitanti concentrati in città: nel giro di 15 anni, il 75% della popolazione vivrà in aree urbane.

In che modo le città riusciranno a gestire tante persone concentrate in uno stesso luogo? La conversione verso una città smart è il primo tentativo di dare una risposta ai bisogni futuri.
Sono sei le caratteristiche da adempiere e 74 gli indicatori da rispettare per poter rientrare nella classifica delle città più smart stilata dalle università di Vienna, Lubiana e Delft nel 2007. Gli indicatori scelti e la classifica  avevano lo scopo  di dare i giusti suggerimenti per aiutare le città a crescere e svilupparsi nel modo migliore: i settori decisivi sono l’economia, la mobilità, l’ambiente, le persone, la qualità della vita e l’amministrazione.

Le città italiane  che sono rientrate nella classifica europea del 2007 erano  4: Trento, Trieste, Perugia e Ancona.
Sebbene per numero di città coinvolte siamo al di sopra della media europea, non vale certo lo stesso discorso in termini di qualità: la migliore a livello europeo è Lussemburgo, seguita in classifica da città scandinave. A determinare il successo di queste ultime sono le soluzioni economiche innovative o il rispetto dell’ambiente.

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Oggi forse la ricerca darebbe nuovi risultati: infatti secondo lo Smart city Index del 2013, che ha considerato 9 aree tematiche e 150 indicatori, le migliori in Italia sono Bologna, Milano e Roma, seguite da Reggio Emilia, Torino e Firenze.

Cosa sogna l’Europa per il futuro delle sue città?

Per guardare al futuro, c’è poi la ricerca della Joint Programming Initiative (JPI) Urban Europe. Che caratteristiche dovranno avere le città per essere smart nel 2050? Le zone urbane dovranno  essere soprattutto templi dell’imprenditorialità: lo spazio urbano sarà un centro economico e lavorativo, e potrà sopravvivere solo se concentrerà creatività e innovazione al proprio interno. Pionieristica, è l’aggettivo che più si addice alle città che vedremo tra più di 30 anni, perché dovranno attrarre le menti più creative, capaci di trovare soluzioni che vadano al di là delle proposte convenzionali, e che sfruttino le avanguardie della tecnologia.

Le metropoli future però non dovranno essere fortezze, isolate e arroccate nei loro privilegi economici: saranno città interconnesse tra loro e a livello globale. Ecco perché dovranno svilupparsi il trasporto, le infrastrutture e i sistemi logistici. Le città saranno i nodi di un’Europa policentrica.
Già in una riunione tenutasi a Toledo nel 2009, i ministri europei in carica hanno dichiarato che l’obiettivo primario per le città europee è  quello di “raggiungere uno sviluppo urbano più intelligente, sostenibile e inclusivo dal punto di vista sociale”.
Per questo la città che la ricerca della JPI sogna dovrà essere soprattutto vivibile, assicurando sicurezza e salute ai suoi abitanti, e il rispetto dell’ambiente e della natura. Le città più smart non saranno solo quelle più tecnologiche, ma soprattutto quelle che sapranno integrare la varietà dei bisogni sociali, che faranno posto alle periferie urbane e ai quartieri più degradati, che terranno conto di emergenze quali l’invecchiamento della popolazione e le migrazioni.

La politica europea

Ma come fare per concretizzare i sogni dell’Europa, che assiste a un sistema di urbanizzazione molto vario? C’è infatti un pentagono – con ai vertici Londra,  Parigi, Monaco, Amburgo e una punta che arriva fino a Milano – che corrisponde a un’area con realtà urbane ben sviluppate. Attorno a questo territorio c’è invece un’espansione urbana meno densa e organizzata. Quasi la metà della popolazione europea vive infatti in città relativamente piccole, con meno di 100.000 abitanti.
“La Comunità Europea non ha mai avuto una specifica politica urbana, perché riconosce la presenza di diverse realtà sia per conformazione geografica che culturale all’interno del proprio territorio”, ha spiegato Cristiana Rossignolo, docente di geografia urbana presso il corso di laurea di pianificazione territoriale  del Politecnico di Torino. “Ma indicazioni e condivisione delle buone pratiche sono gli strumenti usati per appianare il divario territoriale”.

L’Europa demanda a regioni e città la gestione del proprio territorio, perché sono le realtà più vicine ai problemi locali. Malgrado ciò, da 25 anni promuove studi e azioni rivolte alle città, applicando appieno il principio di sussidiarietà. L’attenzione alla politica di coesione è in costante crescita. La nuova programmazione del 2014-2020  riconosce ancora più profondamente l’importanza delle città nell’attuare la politica di coesione sociale, economica e territoriale: per eliminare i divari tra i vari territori, ha destinato il 5% dei fondi per le regioni allo sviluppo urbano sostenibile e condiviso, anche se con diverse declinazioni e con diversi strumenti.

L’Italia

L’Italia non è sempre così vicina alla realizzazione dei sogni europei: c’è stata una certa difficoltà di utilizzo dei fondi strutturali, e una serie di indicazioni strategiche e metodologiche che sono state abbandonate. “Le occasioni perse sono dovute soprattutto alla mancanza di una politica urbana nazionale, con indicazioni concrete alle città”, ha spiegato Cristiana Rossignolo che è anche membro della rete  European Urban Research Association (EURA). E il fatto di non avere una politica nazionale non significa avere norme decise dall’alto, ma avere una gestione strategica dell’insieme, distinguendo i bisogni diversi delle città siano esse del Nord o del Sud.

Sul territorio nazionale non mancano esempi virtuosi in cui le direttive europee sono state messe in atto. Ad esempio Torino, ha saputo coordinare i progetti di sviluppo delle periferie urbane. La cosa ha portato non solo alla rigenerazione di alcune aree della città, ma ha permesso un approccio integrato ai problemi delle periferie. Gli interventi non hanno riguardato solo le trasformazioni fisiche del quartiere, ma anche i trasporti, la mobilità,  il lavoro e la società.

Cosa manca allora all’Italia? Quali punti occorrerebbe inserire nella nostra Agenda Urbana? “Oltre a metodi per innovare politica e istituzioni in materia di urbanizzazione, ci vorrebbero strumenti capaci di individuare i problemi e le specificità della singole aree e per governare la città come uno spazio più ampio, aldilà dei confini amministrativi” suggerisce Cristiana Rossignolo. Infatti i confini amministrativi delle aree urbane non corrispondono più ai confini reali della città, che ingloba i pendolarismi e i sistemi di lavoro locale, creando nuove regioni funzionali. E poi la Rossignolo aggiunge che non si possono tralasciare il problema del consumo del suolo e quello dell’emergenza abitativa.
“Le innovazioni da introdurre nelle città italiane sono soprattutto quelle legate alla qualità della vita e all’inclusione sociale. La presidenza italiana in Europa del prossimo luglio, sarà un’occasione da non perdere per generare uno sviluppo positivo per le città europee e italiane. Il Centro Inter-ministeriale per le Politiche Urbane (CIPU) avviato dall’ex ministro della coesione Barca dovrà essere uno snodo importante in questa direzione.”

Crediti immagine: Borislav Dimitrov, Wikimedia Commons

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Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.