AMBIENTE – Non è giusto che i cronisti siano gli unici a soffrire di rapportite. Appena finito di scaricare il terzo volume del quinto rapporto dell’IPCC, è arrivato uno tsunami di rapporti e ricerche che lo rendono obsoleto. Segue una rassegna biblio-gemebonda.
Forse per festeggiare lo sforamento con due mesi di anticipo rispetto al 2013 dei 400 ppm di CO2 in atmosfera che sommando gli altri gas serra equivalgono a 478 ppm, il 6 maggio il presidente degli Stati Uniti ha presentato il National Climate Assessment, dal nome ingannevole. Non esiste alcun clima nazionale in quelle 1.300 pagine, come dimostrano i punti chiave:
Highlights of the Third National Climate Assessment Report (Warning, the file is large)
L’avvertenza va presa sul serio. Meglio iniziare dal sito interattivo che si può consultare per grandi regioni e per gli stati dell’Alaska e delle Hawaii. Warning: il sito è fatto molto bene e si finisce col perderci delle ore. Speriamo che il CMCC ne faccia presto uno simile per il Mediterraneo. Tornando gli Stati Uniti, la buona notizia è che la stagione coltivabile si allunga. La cattiva, che dal 1980 aumentano picchi di caldo in particolare di notte quando le piante e gli animali di allevamento hanno bisogno di fresco, siccità e alluvioni proprio negli stati dove si concentra la produzione agricola. Gli impatti degli eventi estremi crescono anch’essi e il decennio scorso è stato il più caldo mai registrato, in barba alla “pausa” iniziata nel 1998.
Sono locali anche se su vasta scala due studi dell’Istituto per il clima di Postdam, detto PIK (1).
Il primo su Global Change Biology è un tentativo di ridurre le incertezze locali sulle quali modelli climatici globali sorvolano. Identifica le zone più a rischio nell’Africa subsahariana per quanto riguarda la sicurezza alimentare. Dice il principale autore, Christoph Müller
Tre regioni sono tra quelle più a rischio tra un ventennio: parti del Sudan e dell’Etiopia, i paesi che circondano il lago Victoria nell’Africa centrale e la punta sud-orientale del continente, incluse parti del Sudafrica, del Mozambico e dello Zimbabwe.
La Nigeria e le foreste del Congo – più disboscate del previsto – risentiranno meno dei cambiamenti in corso, ma contribuiscono poco all’agricoltura del continente. Morale: pioverà sul bagnato. (2)
Il secondo su Nature Climate Change è un modello di evoluzione della Penisola Antartica, costruito con nuovi dati sulla lubrificazione da sotto del ghiacciaio che dal bacino di Wilkes scorre pian piano in mare. Gli autori paragonano il ghiacciaio a una bottiglia inclinata, chiusa da un piccolo “tappo” di ghiaccio costiero. Finché l’oceano non si scalda abbastanza da farlo saltare, si prevede che da qui a fine secolo lo scioglimento della calotta antartica alzi il livello globale del mare di 16 cm soltanto. Se il tappo salterà, nel giro di alcuni millenni il livello si alzerà di “300-400” centimetri.
Sul livello del mare, i modelli tendono a fare previsioni ottimistiche e certi economisti, politologi e statistici tendono a minimizzare i danni. In realtà i 10 centimetri in più accumulati negli ultimi 40 anni hanno reso più dannosi tifoni, alluvioni e onde anomale. Sono in pericolo innanzitutto le megalopoli costiere – scrivono su Science l’economista Erwann Michel-Kerjan, il climatologo Kerry Emanuel e altra gente meno famosa – dove si concentra a sua volta un terzo abbondante della popolazione mondiale. I disastri del decennio scorso sono l’inizio di una tendenza per la quale, solo i Paesi Bassi e New York si stanno preparando. Nel frattempo, la cementificazione, lo svuotamento delle falde acquifere locali, il disboscamento delle mangrovie, il prosciugamento delle paludi, i sedimenti trattenuti dalle dighe – e in Cina il dirottamento di fiumi dal sud-ovest al il nord-est – accelerano l’abbassamento delle megalopoli.
(1) Sono aperte le iscrizioni alla scuola estiva in Antartide:
The goal is to bring together early-career scientists and young professionals from research departments, governmental and non-governmental agencies and organizations, as well as the private sector from all around the world.
Cronisti niente…
(2) Le Ong umanitarie possono chiedere il paper al “corresponding author”, di solito i ricercatori del PIK sono molto contenti di mandarlo gratis e di fornire spiegazioni. Anche ai cronisti.
Crediti immagine: Nicolas Raymond, Flickr