LA VOCE DEL MASTER – La revisione della direttiva europea sui biocarburanti, di cui si discuteva da anni, potrebbe essere avviata per davvero. Spiragli di ottimismo si intravedono dopo l’accordo raggiunto la scorsa settimana dai ministri per l’energia dell’Unione Europea, che hanno posto un tetto all’utilizzo dei biocarburanti di prima generazione: quelli che, oltre a derivare da prodotti agricoli, si ottengono dalla lavorazione di vegetali destinati al comparto alimentare.
La direttiva europea in discussione prevedeva la sostituzione, entro il 2020, di almeno il 10 per cento di fonti fossili con rinnovabili nell’ambito dei trasporti. Anche se la parola può trarre in inganno, i biocarburanti non sono sempre sinonimo di energia pulita: «Sono lo strumento più semplice per raggiungere l’obiettivo dell’Unione europea» riflette Roberto Sensi, policy officer del programma “Diritto al cibo” di Action Aid, che prosegue evidenziando i problemi, dal legame con il landgrabbing, cioè la corsa alla terra, alle questioni ancora aperte: «Ci sono criticità sia a livello ambientale, perché non tutti i biocarburanti garantiscono un risparmio di emissioni, sia a livello sociale, poiché ci sono grossi investitori italiani e europei che puntano sui biocarburanti per acquisire il controllo della terra in Africa e Asia».
La revisione della direttiva europea è iniziata proprio per limitare gli impatti ambientali e sociali dei biocarburanti, ma fino alla scorsa settimana era bloccata perché, secondo la lettura di Sensi, «il Consiglio non riusciva a votare a causa degli interessi contrapposti dei Paesi membri».
La scorsa settimana, finalmente, è arrivato l’accordo sul tetto del 7 per cento per i biocarburanti di prima generazione, percentuale che dovrà essere ratificata dall’Europarlamento, per il quale sarebbe più equo un 6 per cento. È probabile che l’Italia svolgerà un importante ruolo di paciere durante il proprio semestre di presidenza, che inizierà il primo luglio prossimo.
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