Pomodori resistenti alla siccità
Ormoni vegetali e incroci con specie di climi caldi asciutti: col progetto TOMRES dell'Università di Torino si coltivano pomodori risparmiando il 30% d'acqua
I più pessimisti prevedono una guerra per l’oro blu. Quel che è sicuro è che l’acqua negli anni avvenire diventerà una risorsa strategica ed è per questo che la scienza sta cercando di fornire risposte per avviare processi industriali e agricoli a basso consumo idrico. È il caso del progetto europeo TOMRES che ha scelto il pomodoro (Solanum lycopersicum), come specie vegetale modello sui cui indagare.
Il titolo esteso è “A novel and integrated approach to increase multiple and combined stress tolerance in plants using tomato as a model” e coinvolge 10 Paesi europei, 25 partner tra cui molte aziende agricole e industrie del settore agro-tech, per un totale di oltre 200 tra tecnici e ricercatori.
“Il pomodoro è uno degli ortaggi più importanti del mondo, per questo abbiamo deciso di partire da lui”, spiega a OggiScienza Andrea Schubert, coordinatore del progetto e docente del Dipartimento Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari dell’Università di Torino, “arrivato in Europa grazie agli spagnoli che lo hanno conosciuto in Messico, la sua presenza è attestata già in un erbario del 1580, in particolare grazie agli studi del famoso botanico italiano Pier Luigi Mattioli”.
Certo non fu una diffusione facile. Inizialmente il suo consumo suscitava molta diffidenza, “dato che il pomodoro appartiene alla famiglia delle Solanaceae, gruppo di piante in cui da sempre si conoscono specie contenenti alte concentrazione di alcaloidi tropanici: sostanze spesso tossiche per l’uomo”.
Il pomodoro s’impose prima come pianta ornamentale – i cui frutti dal grazioso pomo d’oro si prestavano bene come centro tavola – per poi conquistare sempre più le tavole mediterranee, fino alla sua consacrazione mondiale nell’800 con l’invenzione della pizza. “Al suo successo ha contribuito la sua plasticità nella forma: di pomodori ne esistono tantissime varietà, da costoluti, a tondi, ai piccoli ciliegini”.
Sos oro blu
Ma perché preoccuparci di quanta acqua “beve” il pomodoro? “Per fare un kg di pomodori occorrono più di 500 litri d’acqua; alcuni paesi hanno abbondanti riserve idriche ma sono in molti a trovarsi in difficoltà e, a ogni modo, chi oggi si crede al sicuro deve fare in conti col problema dell’aumento della popolazione e col cambiamento climatico in atto”.
Come sottolinea il rapporto dell’ OECD – Prospettive ambientali all’orizzonte del 2050 – la domanda globale di acqua aumenterà del 55% con un +400% per il settore manifatturiero, +140% per le centrali energetiche, +130% per i consumi domestici. Il 40% della popolazione mondiale potrà trovarsi in condizioni di stress idrico.
“Mediamente il 70% dell’acqua mondiale è usata per scopi agricoli e di allevamento ed è tutta reperita da bacini terrestri, solo paesi come Israele hanno sviluppato importanti centri di dissalazione che, tuttavia, restano energeticamente molto costosi”. Anche altri alimenti fondamentali richiedono molta acqua, ad esempio, sempre per produrre un kg, il riso richiede 700 l, la patata 500 l, il frumento 400 l, il mais 300 l.
Ecco perché coltivare consumando meno acqua è una strada necessaria. E nel caso del pomodoro si stanno sperimentando soluzioni su più fronti: “Per ora non abbiamo trovato una via più giusta delle altre, penso che coltivare con un risparmio idrico significhi combinare differenti strategie”.
Regolazione con ormoni
Un primo tentativo guarda agli stomi. Si tratta di strutture dell’epidermide delle piante costituite da due cellule a mezzaluna, dette di guardia. “Sono cellule molto complesse: sanno riconoscere la luce, la temperatura, l’umidità e sulla base di questi parametri cambiano la forma: aprendo e chiudendo gli stomi”.
Quando si aprono, esce l’acqua ma entra CO2. Quando sono chiusi, conservano l’acqua ma non entra CO2, necessaria per la fotosintesi. Si è di fronte a quello che in biologia è definito un “trade off”, ossia trovare un equilibrio tra due diverse situazioni per bilanciare i vantaggi e gli svantaggi. “Le piante che vivono ai tropici hanno, si dice, un approccio ottimistico, tengono aperti tanto tempo gli stomi poiché, essendoci piogge abbondanti, non si preoccupano di perdere acqua; al contrario, le piante abitanti le zone aride hanno un approccio pessimistico: tengono chiusi gli stomi, crescendo in misura minore, ma almeno evitando di morire di siccità”.
Il progetto TOMRES, parlando di stomi, si sta occupando degli strigolattoni: particolari ormoni, prodotti dalle radici delle piante. Si tratta di componenti già noti per svolgere diverse funzioni. Prima di tutto sono mediatori nelle relazioni tra piante parassite e piante ospiti; secondo, sono coinvolti nella simbiosi micorrizica; terzo, sono inibitori della crescita delle gemme laterali sui rami, per favorire la dominanza apicale. “Ma proprio recentemente è stato scoperto un loro nuovo ruolo nell’apertura e chiusura degli stomi. Gli strigolattoni influenzano – attraverso l’azione di altri ormoni – il funzionamento delle cellule di guardia e permettono di tenere chiusi gli stomi durante i periodi di siccità”. Grazie agli strigolattoni la pianta di pomodoro può vivere in condizioni critiche mettendo in stand by la fotosintesi per riprenderla non appena torna l’acqua.
Dai laboratori torinesi non si sta puntando sulla sintesi di strigolattoni, poiché il procedimento risulta attualmente molto costoso, bensì “si sta sperimentando sui pomodori l’utilizzo di biostimolanti, ossia estratti ottenuti direttamente dalle piante, ricchi in strigolattoni attivi”.
Incroci genetici
In contemporanea, il progetto TOMRES percorre un’altra strada, quella della genetica. In natura esistono specie di pomodoro, come Solanium pennelli, che hanno una spiccata resistenza alla siccità. S. pennelli è originaria del Perù. Sopravvive con poca acqua ma chiaramente la sua crescita è limitata. “L’idea del progetto TOMRES è riuscire a trasferire i geni della resistenza al nostro comune pomodoro; tra le due specie esiste, infatti, interfertilità e l’incrocio può essere fatto manualmente con delle pinzette, dato che queste piante possono fare a meno di vettori come gli insetti per la riproduzione”. A dirlo sembra facile, in realtà isolare solo le caratteristiche della resistenza alla siccità richiede tutta una serie di incroci che sono ancora in fase sperimentale. “Una strategia simile è sfruttare come ‘parenti resistenti’ varietà che sono state selezionate localmente in zone calde e asciutte. Ne esistono molte, alcune relativamente note come il Piennolo vesuviano della Campania e il Ramallet delle Isole Baleari, ma ce ne sono migliaia praticamente sconosciute, una vera miniera dove potrebbero nascondersi delle pietre preziose per il miglioramento genetico del pomodoro”.
Anche le biotecnologie potrebbero aiutare a produrre pomodori “a basso consumo di acqua”: “Più che la produzione di OGM oggi sembrano molto promettenti le nuove tecnologie di editing genetico, che permettono di intervenire sul genoma con strumenti di precisione altamente efficaci. Tuttavia per andare in questa direzione è necessario chiarire il quadro normativo, ecco perché ad oggi questa strategia non è inclusa nel progetto TOMRES”.
Il sapore dei pomodori
Non ci sono più i pomodori di una volta. Si sente tanto ripetere questa frase. Ma se il pomodoro dell’orto aveva più profumo ed era più gustoso, che cosa dobbiamo aspettarci dal pomodoro che verrà fuori dalle ricerche di TOMRES? “C’è del fondo di verità in chi ritiene meno buoni i pomodori della grande distribuzione rispetto a quelli del contadino, in linea di massima, diciamo che la produzione intensiva ha perso per strada l’aspetto degli aromi senza mai curarsene troppo, quindi se si vuole recuperare il gusto bisogna lavorare su questo aspetto, mentre vi tranquillizzo che la produzione con risparmio idrico non incide sul loro sapore”.
“Quello a cui noi puntiamo con TOMRES è di ridurre il consumo d’acqua del 30%. D’altro canto questo porterà a una produzione verosimilmente più bassa del 15%. Quindi, sorge un altro problema, nei paesi in cui l’acqua costa poco, i produttori potrebbero non essere interessati a questo tipo di pomodoro perché causerebbe una perdita di reddito”. Tutto dipenderà da quanto l’acqua sarà in futuro determinante.
“Ad ogni modo il prossimo passo, non appena avremo ottenuto risultati soddisfacenti col pomodoro, sarà replicare le tecniche appurate su un’altra specie appartenente alla famiglia delle Solanaceae, il peperone. Per questo ci stiamo impegnando in un nuovo progetto di ricerca (VEG-ADAPT) finanziato dal partenariato europeo PRIMA, un’iniziativa italiana per aiutare a ridurre i consumi di acqua in ambiente mediterraneo”, conclude Schubert.
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