SALUTE – Nello speciale di maggio avevamo raccontato i dati relativi ai trapianti in Italia, tra cui quelli di fegato, il secondo tipo di intervento più diffuso nel nostro paese dopo i trapianti di rene, con 11.484 casi tra il 2000 e il 2011. Ebbene, come riporta uno studio internazionale pubblicato oggi su Nature Medicine, oggi sarebbe possibile estendere i tempi di conservazione e stoccaggio degli organi trapiantati fino a quattro giorni, un intervallo di tempo assai più lungo rispetto alle tempistiche vigenti oggi, che nel caso del fegato sono intorno alle 12 ore a temperatura molto bassa. Come ha dimostrato negli anni la ricerca medica, oltre questo tempo massimo gli organi, in assenza di sangue e quindi di ossigeno, vanno incontro a necrosi, cioè alla morte cellulare.
Questa nuova tecnica di conservazione, per ora testata su organi di ratto, propone un metodo innovativo per la preservazione di tessuto epatico, basato sulla combinazione di due metodologie esistenti: la conservazione a temperature molto basse che evitano però il congelamento, detta “supercooled tissue preservation”, unita a un irroramento artificiale dell’organo. Se utilizzate singolarmente, le due tecniche si rivelano però entrambe inefficienti nel permettere all’organo di conservarsi più a lungo.
La crioconservazione tradizionale ha avuto successo in numerosi tipi di cellule e nel caso di alcuni tessuti semplici, ma per quanto riguarda la vascolarizzazione di organi per tempi lunghi , gli effetti sono decisamente meno positivi. Non sono mancati tentativi in questa direzione, ma si sono finora rivelati inadeguati per la preservazione dei tessuti del fegato. Questo – si legge nello studio – a causa dell’anatomia dell’organo stesso che comprende numerosi tipi di cellule con caratteristiche e funzioni specifiche che richiederebbero metodologie diverse di conservazione.
Per quanto riguarda invece l’uso di apparecchi per irrorare l’organo trapiantato, che permette il supporto necessario ai tessuti attraverso un meccanismo artificiale per fornire una circolazione extracorporea, rimane una tecnica alternativa che ha dimostrato di essere vantaggiosa rispetto allo stoccaggio convenzionale basato sul raffreddamento e per questo viene spesso utilizzata nella pratica clinica di routine per la conservazione del rene. Tuttavia, anche se questo metodo potrebbe ipoteticamente estendere i tempi di conservazione anche nel caso del fegato, il suo uso per la conservazione a lungo termine è impraticabile, e la maggior parte degli studi si concentrano sulla conservazione di breve durata o sul recupero di organi che hanno subito le conseguenze di un’ischemia o che sono risultati feriti.
Il nuovo metodo proposto nello studio si basa su questa ipotesi: dato che la conservazione ipotermica lavora sostanzialmente attraverso il rallentamento del metabolismo cellulare, un “super-raffreddamento” consentirebbe un’ulteriore riduzione del metabolismo e la conseguente estensione del tempo di conservazione. Anche questa tecnica presenta però delle sfide: prima fra tutte il fatto che è necessario evitare la formazione di ghiaccio; secondo, una volta sottoposte a riscaldamento dopo essere state congelate per un tempo così lungo, le membrane dell’organo potrebbero subire danni anche permanenti; terzo, i problemi che uno sbalzo di temperatura di questo tipo potrebbe portare dal punto di vista dell’ossidazione cellulare.
Cercendo di limitare il più possibile queste difficoltà con precisi accorgimenti tecnici durante gli esperimenti, Korkut Uygun – del Center for Engineering in Medicine presso il Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School – e colleghi, sono stati in grado di dimostrare un tasso di sopravvivenza a un mese dal trapianto del 100% di ratti trapiantati con fegati che erano stati conservati per tre giorni con il nuovo trattamento, a fronte del metodo tradizionale di conservazione che faceva sì che la percentuale di ratti sopravvissuti a un mese dall’intervento fosse nulla. È sopravvissuto oltre un mese invece quasi il 60% dei ratti il cui nuovo fegato era stato conservato con questo metodo per quattro giorni.
Gli esperimenti sui ratti dunque sembrano destare parecchio ottimismo tra i ricercatori, anche perché se la tecnica dovesse rivelarsi vantaggiosa anche nel caso di trapianti sull’uomo, i vantaggi dal punto di vista della gestione sanitaria non sarebbero certo secondari. L’allungamento dei tempi di stoccaggio infatti consentirebbe uno scambio di organi più efficiente da regione a regione, riducendo le difficoltà logistiche e procedurali e ottimizzando la preparazione dei pazienti riceventi.
Crediti immagine: János Balázs, Flickr