SCOPERTE – Nella famiglia dei Cercopitecidi, nel corso dell’evoluzione, è andato ampiamente modificandosi l’aspetto del volto, per evitare l’accoppiamento con altre specie loro prossime o anche geograficamente vicine. La scoperta è di un team di ricercatori della New York University e della University of Exeter, e i risultati sono stati pubblicati su Nature Communications. Sono state così individuate, per la prima volta, evidenze a supporto del ruolo degli indizi visivi nell’impedire gli incroci tra specie diverse. Come spiega James Higham, tra gli autori della ricerca, “l’evoluzione determina adattamenti che permettono agli animali di prosperare in un particolare ambiente. Nel tempo, questi adattamenti portano all’evoluzione di nuove specie”. Quanto ancora andava chiarito era proprio quale fosse il meccanismo che impedisce a specie imparentate e che condividono lo stesso habitat di accoppiarsi tra loro. Molte, come emerso dalla ricerca, si evolvono specificamente per differenziarsi dalle altre il cui areale si sovrappone con il loro.
Studiando il genere Cercopithecus, il team guidato da William Allen si è concentrato su oltre venti specie di scimmie che vivono nelle foreste dell’Africa centrale e occidentale. Si tratta di animali che spesso si spostano insieme, dormono insieme e condividono i luoghi per l’approvvigionamento di cibo; la possibilità di un accoppiamento tra individui di specie diverse, la cui conseguenza sarebbe prole sterile, va dunque scongiurata. I ricercatori hanno fotografato le specie di cercopitechi in vari ambienti, per 18 mesi. Sono passati dagli zoo negli Stati Uniti e nel Regno Unito fino ad arrivare ai santuari per la fauna selvatica in Nigeria, e immagini alla mano (oltre 1.400) hanno sfruttato la tecnica chiamata Eigenface per stabilire i tratti considerati “di base” e poter poi determinare in che modo l’aspetto di una specie fosse correlato alle altre. Come ci si aspettava sono emerse diversificazioni marcate, soprattutto tra quelle specie il cui habitat si sovrappone.
Già negli anni Ottanta lo zoologo Jonathan Kingdon aveva studiato queste differenze nei tratti facciali, in particolar modo per quanto riguarda la colorazione. Trattandosi prevalentemente di osservazioni a occhio nudo, tuttavia, non era riuscito a dare solide basi scientifiche alla sua teoria, legata proprio allo scongiurare l’ibridizzazione tra specie differenti. Grazie ai metodi del team di Higham, tra i quali sofisticati algoritmi per il riconoscimento facciale, le differenze sono state ora identificate con precisione e quantificate.
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