SCOPERTE – A molti sarà capitato di pensare «Riconoscerei questo posto anche a occhi chiusi». Ma per sviluppare il senso dello spazio la visione sembra giocare un ruolo più importante di quanto si credesse.
Le persone cieche dalla nascita hanno infatti difficoltà a riconoscere la posizione di suoni nello spazio, e la relazione di diversi suoni tra loro. Contrariamente a quanto sembravano suggerire alcuni studi – e una sorta di credenza popolare – essere privi della vista non necessariamente migliora le capacità percettive di altri sensi, come quelle dell’udito. Anzi, gli adulti con cecità congenita non riescono a risalire in modo accurato alla posizione di un suono in movimento nello spazio, e per i bambini non vedenti le difficoltà potrebbero essere ancora maggiori.
Lo suggerisce uno studio guidato da Monica Gori, dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, e presentato in questi giorni al FENS forum, il forum delle società europee di neuroscienze.
L’ambiente sonoro in cui ci troviamo può essere a volte piuttosto complesso: pensiamo a una strada affollata, con automobili che arrivano da diverse direzioni, passanti che si avvicinano e si allontanano, clacson e frenate. Per orientarci nello spazio in assenza di visione dobbiamo essere in grado di localizzare la posizione di oggetti e persone facendo riferimento ai suoni che emettono. Non un compito facile per le persone prive di vista dalla nascita, secondo i risultati della ricerca presentata.
La visione sembra essere importante per sviluppare il senso dello spazio in età infantile, dal momento che le persone che diventano cieche più tardi nella vita non mostrano differenze nella capacità di localizzare i suoni rispetto a chi non ha problemi di vista. Come in altri casi, questa capacità mostra una certa plasticità, e i problemi non sembrano insuperabili: se i bambini con cecità congenita sono il gruppo con maggiori difficoltà nella localizzazione dei suoni nello spazio, in età adulta riescono a recuperare alcune funzioni.
È proprio questa plasticità che ha portato il gruppo di ricerca di Monica Gori a sperare di poter migliorare la funzione di localizzazione uditiva nei bambini ciechi. L’idea di un trattamento riabilitativo è alla base del progetto ABBI, Audio Bracelet for Blind Interaction: all’interno del progetto il gruppo di ricerca ha sviluppato uno strumento che permette di dare al bambino non vedente un feedback sui propri movimenti per aiutarlo a costruire un senso dello spazio. Si tratta di un semplice braccialetto sonoro, che potrebbe, sostiene la ricercatrice, migliorare la conoscenza del proprio corpo, la coordinazione e l’interazione con le altre persone e con lo spazio.
«Abbiamo coinvolto un gruppo di famiglie con bambini non vedenti dalla nascita», racconta Monica Gori, «e nei prossimi mesi cominceremo a studiare come l’allenamento con il braccialetto sonoro possa aiutare i bambini a sviluppare la consapevolezza spaziale». Il training durerà tre mesi, e per un’ora al giorno i bambini indosseranno il braccialetto durante le loro interazioni.
«Poter riconoscere facilmente l’origine di suoni diversi può facilitare anche lo sviluppo della socialità di questi bambini», spiega la ricercatrice. «Pensiamo a una festa piena di bambini: poter localizzare con precisione gli altri può rendere le interazioni più significative e immediate». Anche il rapporto con i genitori, continua, può essere arricchito e migliorato.
Nell’arco di tre anni il progetto ABBI, che prevede la collaborazione di cinque centri europei, prevede il coinvolgimento di più di cinquanta bambini non vedenti nel primo anno di età.
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Victor Phung, Flickr