Il progetto ReHand: dall’IIT un innovativo esoscheletro robotico per la riabilitazione della mano
Il dispositivo nasce dalla ricerca in ambito spaziale, per aiutare gli astronauti a svolgere i lavori di manutenzione della propria navicella in orbita. Ma il passo dallo spazio alla Terra è stato breve.
SENZA BARRIERE – Si chiama ReHand ed è l’innovativo esoscheletro per la riabilitazione motoria della mano disegnato e fabbricato interamente dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Studiato per essere portatile e leggero – pesa solo 650 grammi – ReHand si indossa come un guanto e rappresenta un dispositivo unico nel suo genere, capace di supportare le persone colpite da ictus ed emiparesi nel recupero delle funzionalità della mano.
Nato “tra le stelle”, come racconta Paolo Ariano, neurofisiologo e ricercatore presso il Center for Space Human Robotics dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ReHand prende vita circa sette anni fa con uno scopo ben preciso: aiutare gli astronauti nello svolgimento dei lavori di manutenzione della propria navicella in orbita. “Muoversi nello spazio non è mai un evento banale. Per un pilota spaziale dover usare un trapano per molti minuti o, semplicemente, aprire e chiudere la mano più volte mentre è in orbita comporta un grande sforzo, sia a causa dei guanti indossati sia per la differenza di pressione all’esterno nella navicella”, spiega il ricercatore. “Per la fatica spesso gli astronauti erano costretti a interrompere i lavori di manutenzione. Da qui nasce l’idea di realizzare un dispositivo di empowerment, un esoscheletro di mano capace di conferire ai piloti maggiore forza e migliore resistenza.”
Ma il passo dallo spazio al pianeta Terra è breve. Sì, perché come molti degli strumenti realizzati per un impiego extraterrestre, ReHand trova ottime applicazioni anche qui. “Si pensi ai pannelli solari. Nati per un uso spaziale, ora ricoprono gran parte dei tetti delle nostre abitazioni. Allo stesso modo, fin da subito abbiamo immaginato le possibili ricadute terrestri dell’esoscheletro”, spiega Ariano. “Lavoro con un gruppo di biologi. Abbiamo avuto un’intuizione: riconfigurare ReHand affinché potesse essere utilizzato dalle persone colpite da ictus ed emiparesi, con ridotta o mancante funzionalità della mano.” Il dispositivo, infatti, è impiegabile sia come supporto riabilitativo sia per restituire funzionalità a un arto che ha perso completamente la sua forza. Con ReHand, dunque, abbiamo il primo caso di strumento riabilitatore-abilitatore utilizzabile da chi lo indossa in completa autonomia. Gli esoscheletri presenti oggi sul mercato, infatti, garantiscono solo un impiego di tipo riabilitativo.
Crediti video: www.iit.it
Come funziona esattamente ReHand? Il dispositivo sfrutta segnali bioelettrici letti direttamente dai muscoli dell’utilizzatore attraverso la tecnica dell’elettromiografia (EMG) di superficie. Grazie all’EMG, il gruppo di ingegneri del Center for Sustainable Futures di Torino ha sviluppato un algoritmo capace di comprendere l’intenzione del paziente di aprire o chiudere la mano, e quindi di inviare autonomamente un segnale al motore dell’esoscheletro. Questo ciclo di informazione chiuso (dal pensiero, passando per i muscoli all’esoscheletro, e dall’esoscheletro al movimento delle dita per finire all’occhio e quindi nuovamente al cervello) permette di rinforzare i percorsi neurologici precedentemente danneggiati proprio in seguito ad un ictus, riabilitando così la funzione motoria della mano. Le applicazioni di ReHand, tuttavia, non si esauriscono qui. “Con Marco Paleari, Andrea Lince, Nicolò Celadon, Alain Favetto, Silvia Appendino e Alessandro Battezzato, tecnici e ricercatori del team di ReHand, stiamo testando l’impiego del dispositivo in ambito sportivo e di wellness aziendale, guardando a coloro che svolgono lavori manuali ripetitivi e affaticanti”, conclude Ariano. Per l’immissione sul mercato di dipositivo, invece, si dovrà attendere ancora un anno.
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