SCOPERTE

Bigfoot e Yeti? La parola al DNA

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SCOPERTE – In Nord America sono noti col nome di Bigfoot, mentre nelle regioni himalayane come Yeti o abominevoli uomini delle nevi. Alasty è invece il nome che viene loro attribuito dalle popolazioni che vivono nelle fredde steppe mongole e siberiane. Comunque li volessimo chiamare, stiamo parlando, ebbene sì, di grosse e pelose specie umanoidi (al plurare perché, data la differenza geografica tra esse, dovrebbe trattarsi di almeno due specie diverse, una nordamericana e una asiatica) dal comportamento estremamente schivo ed elusivo, che abiterebbero alcune delle regioni più fredde ed inospitali del pianeta. Nonostante la loro propensione a non entrare in contatto con il ben più cosmopolita Homo sapiens, queste grosse scimmione antropomorfe sarebbero stato il frutto di decine di presunti avvistamenti da parte di esploratori e viandanti. Tuttavia, se qualcuno fosse propenso a credere alla loro esistenza, ecco che interviene la scienza a mettere la parola fine a queste creature leggendarie: uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B ha infatti condotto analisi genetiche su campioni biologici, in generale peli, che potrebbero appartenere ad essi. Si tratta, e non potrebbe essere altrimenti, del primo studio del genere, che certamente a breve scatenerà le reazioni dei negazionisti, convinti nonostante tutto della loro esistenza.

Ma veniamo ai fatti: un gruppo di ricercatori, guidati da Bryan C. Sykes dell’Università di Oxford, ha collezionato 57 campioni di peli attribuiti a quelli che definiscono ‘primati anomali’, provenienti da musei, ma anche da cittadini appassionati di tutto il mondo, e risalenti all’ultimo secolo. Sfortunatamente, solo 37 di essi si sono rivelati essere dei veri e propri peli, in quanto la restante parte non era nient’altro che piante o altro materiale vegetale, erroneamente attribuito a queste fantomatici bestioni. Sfortunatamente, ancora, da solo 30 di essi è stato possibile estrarre del DNA analizzabile.

E veniamo ora ai risultati delle analisi genetiche, condotte sul gene che codifica per la subunità 12S dell’RNA ribosomale, che si suppone possano avere anche loro in quanto, se esistenti, dovrebbero necessariamente avere un antenato comune a tutti gli altri organismi della Terra. Purtroppo, per gli entusiasti sognatori di questi umanoidi pelosi, tutti i campioni in loro possesso sono perfettamente compatibili con specie assai note e tutte ancora esistenti. In particolare: dieci appartengono ad orsi di varie specie, quattro a cavalli e uno per ciascuno a mucca, procione, cervo e perfino un porcospino… e, infine, nientemeno che capelli umani!

Onestamente, forse non era strettamente necessario condurre uno studio scientifico che dimostrasse al di là di ogni ragionevole dubbio la non esistenza di questi fantomatici umanoidi pelosi, ma ora certamente anche i loro più acerrimi sostenitori non potranno negare l’evidenza. La scienza ha parlato: gli yeti non esistono…

Un’indicazione interessante, e scientificamente molto rilevante, del presente studio è stata però la compatibilità del DNA di due campioni provenienti dall’India e dal Bhutan con quello degli orsi bianchi, specie che non vive affatto in quelle aree. E’ dunque possibile che gli orsi dell’Himalaya si siano in tempi recenti ibridati con questa specie più settentrionale. La scienza va avanti anche così: da una ricerca non certo fondamentale e forse anche opinabile, emerge ora una possibile nuova linea di indagine nel campo della genetica di popolazioni e della biogeografia.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Wonderlane, Flickr

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Andrea Romano
Biologo e giornalista scientifico, lavora come ecologo all'Università degli Studi di Milano, dove studia il comportamento animale. Scrive di animali, natura ed evoluzione anche su Le Scienze e Focus D&R. Dal 2008, è caporedattore di Pikaia - portale dell'evoluzione