AMBIENTE – Alcuni giorni fa Milano è stata colpita dall’inondazione del fiume Seveso, che come accade spesso in città, in breve tempo ha provocato disagi significativi, così come le scuse e le promesse di risarcimento del sindaco Pisapia. Con precisione quasi profetica proprio negli stessi giorni le agenzie di stampa nazionali battevano la notizia di un recente studio pubblicato su Nature Geoscience da parte di un team dell’Università della California, secondo cui sarebbe possibile prevedere tramite satellite l’arrivo di un’inondazione con addirittura 11 mesi di anticipo.
In realtà però, sebbene lo studio ci sia e i risultati siano degni di nota, purtroppo per noi bisognerà attendere non poco affinché anche le nostre città possano beneficiare di una tecnologia di questo tipo. “È importante veicolare il messaggio corretto e cioè che questo è un metodo che, per i limiti intrinsechi delle tecnologie oggi disponibili, ha dato i suoi frutti finora su larghissima scala, cioè nel caso di superfici di oltre 200mila chilometri quadrati, aree ben più grandi di una delle nostre città.” spiega Salvatore Stramondo, responsabile della unità Dati satellitari per l’Osservazione della Terra presso l’INGV.
Cosa dice l’articolo
“L’articolo fa riferimento ai risultati forniti da una coppia di satelliti della NASA in orbita dal 2002 chiamati GRACE (Gravity Recovery e Climate Experiment)– spiega Stramondo – a un’altezza di 500 chilometri ed in grado di misurare il campo gravitazionale terrestre, distanziati l’uno dall’altro circa 220 chilometri. I ricercatori hanno osservato che su aree di oltre 200 mila chilometri quadrati questi due satelliti sono in grado di misurare con estrema precisione per ciascuna zona il campo gravitazionale presente e le sue variazioni, e correlare questo parametro con l’accumulo di acqua nel sottosuolo, stimando così il rischio di un’eventuale inondazione.” In particolare il team, guidato da John Reager ha messo a confronto le dimensioni del Mississippi con quelle dell’acqua presente nel suo bacino idrografico, dati raccolti tramite i satelliti Grace prima della catastrofica alluvione del Missouri nel 2011. A partire da questi dati e con le informazioni satellitari sull’umidità del suolo e della falda acquifera, i ricercatori sono poi stati in grado di prevedere la possibile inondazione che effettivamente si era verificata, ma con un anticipo di 5-11 mesi rispetto al disastro del 2011.
Non è una previsione meteorologica
Come si fa quindi a stimare con precisione e sufficiente anticipo la possibilità di un’inondazione? “Qui l’aspetto rilevante rispetto alle metodologie attuali di previsione è che queste ultime sono oggi sostanzialmente basate su previsioni meteorologiche, e quindi sono a carattere probabilistico, basate sulla quantità di piogge e sul tasso di umidità del suolo” illustra Stramondo. Questo nuovo studio del globo terrestre e dei suoi parametri fisici che determinano l’accumulo di acqua invece, viene fatto da remoto, permettendo di incrociare i dati satellitari con i dati cosiddetti “a terra”, fornendo una panoramica più completa dello scenario in questione.
Uno sguardo più ampio e completo sul problema
“Il punto è che i dati da satellite consentono di fare un’analisi di cambiamento, osservare e studiare cioè la stagionalità di questo tipo di avvenimenti, a partire appunto dalla correlazione tra il campo gravitazionale e l’accumulo di riserve d’acqua in una determinata area, e questo significa disporre di uno sguardo assai più ampio e completo sul problema” precisa Stramondo. Capire quando un corso d’acqua o una falda acquifera esonderanno significa infatti creare una mappa delle aree più ricche di acqua e di quelle meno fornite, in altre parole descrivere meglio il problema della desertificazione, tema discusso sempre dal medesimo team di ricercatori californiani in un articolo precedente, pubblicato nel 2012. Trend ben chiari di una questione globale molto complessa come i cambiamenti climatici.
“Gli aspetti significativi di questo studio sono dunque due – conclude Stramondo – primo, che oggi è possibile, almeno su larga scala, integrare il dato satellitare con il dato a terra per valutare la predisposizione di una determinata area a future inondazioni; secondo, che è possibile allungare il periodo in cui si può fare una stima della possibilità che questa inondazione si verifichi e della sua gravità, oltre a coglierne gli aspetti di stagionalità.”
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