SALUTE – Era stata soprannominata “Mississippi baby”, la bimba in cui l’Hiv sembrava essere stata debellata con una terapia aggressiva somministrata a 30 ore dalla nascita (ne avevamo parlato qui). La scoperta era stata riportata anche dal New England Journal of Medicine, e avrebbe potuto diventare il secondo caso noto al mondo di Hiv effettivamente curato. Fino al momento in cui gli specialisti e i pediatri coinvolti hanno trovato nella piccola tracce evidenti del virus. Se il controllo avesse avuto esito negativo avrebbe avuto inizio una sperimentazione clinica su un campione di almeno 450 bambini, tutti nati da madri che prima e durante la gravidanza non si erano sottoposte a controlli né avevano assunto farmaci antiretrovirali.
La novità, tuttavia, fa riconsiderare il piano d’azione e l’intero progetto del trial clinico dovrà essere rivisto. “Si tratta certo di un risvolto degli eventi piuttosto deludente per questa bambina, ma anche per lo staff medico che se ne è occupato e l’intera comunità di ricerca su Hiv/Aids”, commenta il direttore del NIAID (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) Anthony S. Fauci. “Questo ci ricorda, scientificamente, che abbiamo ancora molto da imparare riguardo alle complessità dell’infezione e ai luoghi, nel corpo umano, in cui il virus si nasconde. Il National Institute of Health rimane fermo nel suo impegno nella ricerca di una cura per l’infezione da Hiv”.
La bimba, nata in Mississippi nel 2010 da madre affetta da Hiv, ha continuato a sottoporsi alla terapia antiretrovirale fino ai 18 mesi, quando il follow up è cessato e i medici non hanno più avuto notizie. Cinque mesi più tardi, quando gli specialisti hanno potuto visitarla nuovamente, hanno rilevato nei campioni di sangue livelli di Hiv piuttosto irrisori, in totale assenza degli anticorpi a esso legati. Per due anni a seguire nella piccola (che ora ha quattro anni) non sono stati trovati segni del virus, fino a un controllo di routine risalente a qualche tempo fa che ne ha invece rinvenuta evidente presenza, insieme a grandi quantità di anticorpi, segno che l’Hiv si sta attivamente replicando all’interno del corpo.
Dati i risultati, la bambina ha ricominciato la terapia antiretrovirale, e sembra tollerarla senza effetti collaterali: in base al sequenziamento genetico del virus, i medici hanno confermato che l’infezione appartiene allo stesso ceppo acquisito dalla madre. Resta tuttora ignoto come sia stato possibile, per la piccola, vivere con il virus in forma quiescente senza assumere i farmaci per due anni: la vicenda non ha precedenti, spiega Deborah Persaud del John Hopkins Children’s Center di Baltimora, una dei due pediatri coinvolti nelle analisi del caso in questione. “Tipicamente, quando si interrompe un trattamento, il livello di Hiv si ristabilisce entro qualche settimana, non nel giro di anni”.
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