RICERCA – Ricorderete sicuramente Alan Turing per i suoi contributi fondamentali alla teoria computazionale e per i suoi scritti lungimiranti sull’intelligenza artificiale. Meno famoso invece è il suo interesse verso la biologia dello sviluppo, la morfogenesi in particolare, descritto in un unico lavoro scientifico del 1952. Turing ipotizzò che i pattern ripetitivi presenti in natura, come ad esempio le macchie del leopardo o le strisce delle zebre, fossero generati da equazioni di reazione-diffusione. Due molecole, cioè, partendo da condizioni uniformi, potrebbero dare il via alla formazione di elementi ripetitivi diffondendo e interagendo secondo un modello matematico preciso. Ebbene, uno studio pubblicato su Science dimostra che il modello matematico proposto da Turing più di 60 anni è in grado di spiegare la distribuzione spaziale delle dita.
Nonostante fosse già stata dimostrata l’aderenza al modello dello scienziato britannico di strisce e macchie feline, lo stesso non si poteva dire per la formazione di strutture embrionali ripetitive come le dita. Un gruppo di ricercatori del Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona ha trovato il pezzo di puzzle mancante, individuando le due molecole che, seguendo il modello di Turing, fanno sì che le dita assumano la struttura spaziale che conosciamo. Un mix di modelli computazionali e lavoro sperimentale ha permesso di individuare due classi di segnali molecolari, BMPs e WNTs, che rispondono al modello matematico di Turing. Si tratta di fattori di crescita noti per svolgere un ruolo fondamentale durante l’embriogenesi. Sarebbe proprio il bilancio tra espressione e diffusione di questi due, che comunicano tra di loro attraverso il fattore di crescita Sox9, a determinare le coordinate spaziali dello sviluppo embrionale delle dita. A prova di ciò, inibendo l’uno o l’altro in vitro i ricercatori hanno ottenuto le stesse alterazioni nella formazione delle dita previste dal modello computazionale.
Oltre a rispondere a una precisa domanda -come viene regolato, a partire da una situazione di omogeneità, il gradiente molecolare che porta alla formazione delle dita?- questo studio si inserisce in un dibattito più ampio: come fanno i milioni di cellule del nostro corpo ad essere esattamente dove sono e a organizzarsi in strutture 3D complesse? In che modo vengono comunicate loro le “coordinate spaziali”? Lo studio appena pubblicato dimostra come le risposte a queste domande possano arrivare solo dalla combinazione di più rami della scienza, biologia, matematica, informatica, in quanto, sembra, anche la vita si basa su precisi algoritmi.
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Crediti immagine: Luciano Marcon and Jelena Raspopovic