Modelli computazionali per lo sviluppo di nuovi farmaci
Le simulazioni informatiche possono aiutare i biologi sperimentali a restringere il campo nei test di laboratorio. Senza una selezione matematica, infatti, per sviluppare nuovi farmaci o migliorare la produzione di quelli già esistenti le condizioni da verificare sarebbero troppe e richiederebbero troppi materiali e troppo tempo.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “Fare informatica pura per poi andare a lavorare in banca non mi avrebbe detto niente. Sapere invece che quello che faccio può avere un’influenza diretta sulla vita di qualcuno, pensare che posso salvargli la vita, mi dà una grandissima motivazione”.
Nome: Maria Luisa Guerriero
Età: 35 anni
Nata a: Trento
Vivo a: Cambridge (Regno Unito)
Dottorato in: informatica (Trento)
Ricerca: Approcci matematici e computazionali per simulare sistemi biologici
Istituto: AstraZeneca (Cambridge, UK)
Interessi: camminare in montagna, ballare latino americano, cucinare torte.
Di Cambridge mi piace: è tranquilla e sicura, ma vivace e multiculturale.
Di Cambridge non mi piace: non ci sono le montagne né il mare, non c’è molta natura interessante.
Pensiero: The important thing is to never stop questioning. (Albert Einstein)
Cosa vuol dire usare l’informatica per risolvere problemi biologici in AstraZeneca?
L’azienda per cui lavoro è inserita nel campo biofarmaceutico. In generale, l’idea delle nostre ricerche computazionali è riuscire a sviluppare linguaggi formali per modellare processi biologici in modo da aiutare chi fa gli esperimenti a rispondere a delle domande o generare ipotesi che siano verificabili in laboratorio in tempi e modi accettabili. In questo caso specifico, l’obiettivo finale è migliorare le medicine esistenti e la produzione di nuovi composti in fase di sviluppo, sia in termini di costi che di tempi ed efficacia.
Personalmente mi occupo di varie malattie, da quelle cardiovascolari e respiratorie, al diabete fino ai tumori. Per ciascuna di queste cerco di rappresentare in un modello matematico, quindi con equazioni, come si comporta il sistema dopo che è stato stimolato con un certo farmaco. La maggior parte dei modelli su cui lavoro si interfacciano con sistemi in vitro, quindi cellule, che rappresentano la prima fase del processo di sviluppo di un farmaco.
Ci sono vari modi per creare i modelli, nei miei studi uso per lo più equazioni differenziali, che rappresentano l’evoluzione dinamica di un sistema. Altri approcci vengono più dal lato informatico computazionale, con sistemi basati su processi discreti e una rappresentazione delle specie coinvolte in un determinato istante invece che nel corso del tempo.
Che tipo di aspetti cerchi di modellare?
Un po’ di tutto, dipende dalle domande dei miei colleghi “sperimentali”. Per fare alcuni esempi, alle volte vogliono capire come un farmaco si lega a una certa proteina e stimola un cambio di conformazione; oppure come una molecola interferisce con una via di segnalazione cellulare e quindi bisogna prima di tutto riprodurre il modo in cui il segnale crea una risposta fenotipica in quel sistema; qual è il la modalità d’azione o il dosaggio migliore per un certo farmaco; qual è il modo migliore per bloccare una patologia, se colpire un’unica molecola o più specie e, in questo caso, se farlo contemporaneamente o a tempi diversi.
Non mi occupo quindi di formulare al computer nuovi farmaci, in AstraZeneca quando si ha un’idea su un nuovo bersaglio terapeutico si ricorre a una libreria di migliaia di composti già a disposizione. Il processo aziendale consiste nel provarli tutti e, dopo qualche mese di esperimenti, selezionare quelli che hanno funzionato: solo su questi ultimi si fanno analisi più approfondite, mirate a capire il loro meccanismo di azione. Per esempio, è importante distinguere un composto tossico, che quindi uccide tutte le cellule indistintamente (sane e malate), da uno che interagisce selettivamente con specifiche molecole e porta alla morte solo le cellule malate.
In pratica, noi informatici aiutiamo i biologi in questa seconda fase di analisi e tutte le informazioni che ricaviamo vengono usate per ottimizzare i potenziali medicinali selezionati.
Quali dati utilizzi per creare le simulazioni?
Di solito quelli che vengono raccolti dagli esperimenti in laboratorio e quindi possono derivare da analisi di proteomica, di proliferazione cellulare, espressione genica, curve dose-risposta e così via.
Matematicamente ogni modello ha un certo numero di variabili e una serie di parametri che li rappresentano. Ogni variabile è associata a un’equazione differenziale che descrive la sua variazione nel tempo.
Immaginiamo un sistema con due molecole, un enzima e il suo substrato: le variabili del modello sono le due proteine e i parametri possono essere la costante di dissociazione, la velocità della reazione, la sua temperatura o pH. Le equazioni differenziali dicono, per esempio, come le proteine cambiano nel tempo, come l’enzima interagisce con il substrato, come il substrato viene modificato.
Una volta creato il modello si fanno partire tantissime simulazioni e si valuta quanto le predizioni teoriche si avvicinano ai dati reali. Si testano più modelli contemporaneamente e, pur sapendo che quello perfetto non esiste, alla fine si seleziona quello più ragionevole. A questo punto si può provare a simulare situazioni nuove, per esempio un blocco in un certo punto del sistema, la diminuzione o l’aumento di una variabile.
Chiaramente tutto quello che facciamo al computer deve poi essere validato in laboratorio e, poiché non è pensabile andare a testare tutte le ipotesi possibili, bisogna fare una selezione.
Come fate a decidere quali sono le ipotesi da sperimentare?
Questa è la parte più difficile e tra le più importanti soprattutto quando abbiamo a che fare con sistemi complessi come una pathway di segnalazione cellulare, composta da decine di proteine, magari tutte ampiamente descritte in letteratura e all’apparenza ugualmente importanti.
La scelta viene fatta in genere assieme a chi fa gli esperimenti e spesso è un compromesso tra una serie di conoscenze pregresse, dati che non conosciamo ma si possono misurare e informazioni incognite che speriamo di riuscire a ottenere con la simulazione. Il tutto senza dimenticare l’aspetto pratico, cioè essere in grado di misurare certi parametri, altrimenti è inutile modellare tutto.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Gli esperimenti fatti in vitro riguardano per la maggior parte colture cellulari bidimensionali e ci sono diversi studi interessanti che dimostrano come gli esperimenti fatti in 2D molto spesso non si traducono in realtà nelle prove in vivo.
Recentemente sono comparse le colture in 3D e si è visto che nel passaggio da vitro a vivo le cose migliorano molto.
Mi piacerebbe molto capire, attraverso i modelli matematici, per quale motivo le vie di segnalazione biologica si comportano in modo diverso nei due tipi di colture, se c’è un aspetto di comunicazione intracellulare o se c’è qualche influenza diretta sul ciclo cellulare. La difficoltà matematica sta nel fatto che, per fare simulazioni in 3D, i modelli cominciano a diventare grandi e difficili da parametrizzare, sia per quanto riguarda il numero di dati che il tempo di analisi. Un approccio interessante è quello dei modelli gerarchici, in cui si studia in modo dettagliato un modello più semplice per poi andare vedere a livello astratto come si comporterebbe un sistema più complesso.
Leggi anche: Capire il ciclo cellulare attraverso la matematica
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.