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Una foto della circolazione nel cervello, grazie ai nanotubi di carbonio

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SALUTE – Ecco un’immagine, che presto potrebbe anche diventare un video, della circolazione nel cervello in tempo reale, ottenuta con un’invasività minima. A scattare questa foto sono stati i ricercatori dell’università di Stanford, negli Stati Uniti, che hanno messo a punto una tecnica capace di individuare anche le più minuscole strutture presenti all’interno dei vasi sanguigni cerebrali.

Il metodo di imaging proposto nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature photonics è stato applicato per ora solo ai topi, ma si è già dimostrato in grado di riconoscere dettagli grandi anche un micron, ossia fino a mille volte più piccoli di un millimetro. Come funziona? Iniettando nel cervello del paziente dei minuscoli nanotubi di carbonio (SWCNTs, Single-Walled Carbon NanoTubes), capaci di emettere luce fluorescente nel vicino infrarosso e quindi di monitorare – attraverso la loro posizione – la struttura dei vasi sanguigni.

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Il controllo del flusso di sangue all’interno del cervello è importante per il trattamento di patologie come la demenza, i tumori cerebrali e gli ictus, in cui l’afflusso di sangue in alcune parti del cervello può essere drasticamente ridotto. Attualmente le immagini del cervello si ottengono con tecniche come la tomografia computerizzata a raggi X o l’angiografia a risonanza magnetica. Tuttavia, queste non possono raggiungere una risoluzione del micron, e inoltre richiedono diversi minuti per l’acquisizione di un’immagine, perciò non possono essere utilizzati per monitorare il flusso di sangue in tempo reale.

Anche se l’imaging cerebrale basato sulla fluorescenza non è certo una novità, al momento i metodi impiegati richiedono – per funzionare correttamente – un assottigliamento della parete del cranio o, peggio ancora,  una craniotomia, ossia la rimozione di una porzione di cranio e la sostituzione con un materiale trasparente. Questa invasività della tecnica è dovuta al fatto che la regione dello spettro elettromagnetico sfruttata per queste indagini è quella che comprende lunghezze d’onda tra i 400 e i 900 nanometri, e i fotoni in questo intervallo riescono a viaggiare solo per circa un millimetro attraverso il cranio prima di essere completamente assorbite.

A dare una nuova opportunità – o meglio una nuova “finestra di opportunità”, come l’ha definita Physicsworld – è stato il team diretto dagli scienziati Hongjie Dai e Calvin Kuo, che hanno saputo sfruttare a proprio vantaggio le proprietà elettromagnetiche dei nanotubi di carbonio. Questi infatti hanno una fluorescenza intrinseca con una lunghezza tra 1,3 e 1,4 micron (ossia tra 1300 e 1400 nanometri, la cosiddetta finestra NIR-IIa), circa doppia rispetto a quella usata finora. Questa differenza, piccola rispetto alla vastità dello spettro elettromagnetico, si è rivelata fondamentale al momento dell’interazione con i tessuti animali. I fotoni emessi dai nanotubi, infatti, vengono assorbiti in misura molto minore dalla pelle, dal cuoio capelluto e dalle ossa rispetto ai fotoni a lunghezza d’onda inferiore, aprendo molte nuove potenzialità rispetto all’imaging di fluorescenza tradizionale. Oltre alla già citata risoluzione dell’ordine dei micron, infatti, con la nuova tecnica è possibile ottenere fotografie dei vasi sanguigni fino a 3 millimetri di profondità nel cervello. Tutto questo in un tempo di circa 2 decimi di secondo per scattare la foto, quanto basta per monitorare la circolazione in tempo reale con una frequenza di 5 fotogrammi al secondo. Non proprio una pellicola cinematografica, ma più che sufficiente per avere a disposizione un video che mostra che cosa sta accadendo nel cervello.

Al momento, i ricercatori di Stanford hanno illuminato solo i vasi sanguigni nel cervello dei topi, ottenendo immagini in 2D. I prossimi sforzi, promettono, saranno indirizzati verso la ricostruzione tridimensionale della circolazione celebrale, e verso lo sviluppo di matrici in grado di dare fluorescenza a una lunghezza d’onda ancora più favorevole, che possa permettere di utilizzare la tecnica anche per studi clinici umani. Almeno potenzialmente, visto che di mezzo ci sono anche tutte le necessarie verifiche sugli effetti della tecnica sulla salute dell’uomo.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagini: Calvin Kuo and Hongjie Dai / università di Stanford

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Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance. Sui social sono @undotti