COSTUME E SOCIETÀ – Lo scorso luglio il BBC Trust, l’organo che governa l’editore radiotelevisivo BBC, ha preso una decisione chiara: stop ai ciarlatani in televisione. Una scelta ben meditata e sensata, anche se di non facile attuazione. Un’occasione per riflettere sulla situazione italiana.
Presentare “le due campane” per un giornalista è una buona regola per raccontare meglio un argomento complesso. Ma è sempre così? Lo è, per esempio, se si parla di argomenti scientifici? Questo si è chiesta la BBC quando nel 2010 ha iniziato un’analisi per valutare l’imparzialità e la qualità della scienza delle proprie trasmissioni. Per valutare il contenuto scientifico è stato scelto Steve Jones, professore emerito di Genetica presso la University College di Londra. L’anno seguente Jones ha presentato i risultati mostrando come, a fronte di una buona trattazione della scienza, si dava troppo spazio a posizioni marginali non riconosciute dalla comunità scientifica. Secondo lo scienziato nella scienza la par condicio non funziona, è un falso equilibrio. Se su un argomento scientifico c’è un chiaro consenso della comunità scientifica, non andrebbe presa in considerazione la teoria “alternativa”, per illudersi di essere imparziali. Non se questa è stata sbugiardata dal resto degli scienziati, perché potrebbe inutilmente confondere chi non è del campo.
E così la BBC ha iniziato un periodo di formazione perché dirigenti e dipendenti riconoscano i ciarlatani e non diano attenzioni a teorie alternative a quelle riconosciute dalla comunità scientifica e spesso prive di fondamento. Un addestramento che ha riguardato 200 dirigenti e che ha permesso alla BBC di “evitare il falso equilibrio tra realtà e opinione”.
Una situazione che pare piuttosto distante da quanto sta avvenendo da anni in Italia. Ci sono pochi programmi televisivi che parlano di scienza in maniera corretta e argomentata e quello più conosciuto e apprezzato, SuperQuark, è da tempo “esiliato” nel periodo estivo. Molti altri programmi invece, come Voyager o Mistero, non perdono l’occasione di far sentire tutte le campane. Ma proprio tutte, invitando e dando voce a pseudoesperti che parlano delle teorie più bizzarre, senza che ci sia alcuna verifica, spesso senza nemmeno la controparte che rappresenti la comunità scientifica. Complotti mondiali, UFO, danni provocati dagli OGM o dalle scie chimiche, cure miracolose e altre assurdità hanno sempre spazio in televisione.
Alcuni di questi argomenti non hanno nulla a che vedere con la scienza, come la teoria della Terra piatta, ancora non del tutto abbandonata. Altri sono fonte di grande dibattito ed è qui che molti giornalisti cadono, cercando le campane minoritarie. Ha senso invitare un creazionista quando si parla di evoluzione?
Tuttavia la questione non è così semplice. Come si chiede il giornalista Riccardo Chiaberge sull’unita.it, non si rischia di cadere in una “forma di dogmatismo scientista”? Non sono infatti solo opinionisti e ciarlatani ad avere posizioni diverse, ma anche alcuni ricercatori. Sono tutti da censurare? Forse sì, se presentano dati scorretti o argomentazioni da tempo smentite dalla maggioranza dei ricercatori.
Una forma di censura tout court rischia tra l’altro di incrementare le teorie del complotto, e le posizioni di chi sostiene che gli scienziati non accettino un confronto. E anche la BBC pare aver riflettuto su questo aspetto: “Se la ricerca scientifica può e deve essere scrutinata, – si dice nel Trust – è importante riflettere sull’effettivo peso scientifico di ogni argomento critico per gli annunci scientifici”.
Una questione non marginale che però pare decisamente secondario in Italia. Sarebbe infatti già un ottimo risultato che alcuni giornalisti non considerassero come uniche voci autorevoli medici e opinionisti che dichiarano i danni dei vaccini, pseudomedici, attivisti anti OGM e anti “vivisezione”.
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