CRONACA – Da Stamina all’omeopatia, alle fantasiose cure anticancro a base di bicarbonato, succo di aloe o scorpioni cubani: la madre delle proposte terapeutiche prive di fondamenti scientifici, inutili se non pericolose, è sempre incinta. Colpa – anche – del fatto che molti non sanno come funziona davvero la ricerca clinica, qual è il rigoroso percorso scientifico che porta a metodi e strumenti sicuri ed efficaci per la diagnosi, la prognosi e la terapia. Proprio per colmare queste lacune i promotori del progetto ECRAN – European Communication on Research Awareness Needs – hanno deciso di rivolgersi al luogo per eccellenza in cui si formano cultura e conoscenza: la scuola. Il risultato è una lettera aperta a ministri dell’istruzione, dirigenti scolastici e docenti di tutta Europa, per promuovere l’introduzione dell’insegnamento dei principi della ricerca clinica nei programmi scolastici per i ragazzi di 14, 15 e 16 anni .
La proposta è dettagliata: due giorni all’anno per tre anni consecutivi di workshop sul tema, per l’organizzazione dei quali ECRAN offre piena disponibilià, oltre a una ricca serie di materiali online. Questi incontri dovrebbero aiutare a far capire perché le decisioni in ambito medico devono basarsi su prove affidabili e a come riconoscere le fonti inaffidabili. In modo che chiunque si trovi coinvolto in questo tipo di ricerca – in genere accade quando si è colpiti da una grave malattia – sappia a che cosa va incontro. Non solo: sembra di capire, leggendo tra le righe, che ci sia in ballo un obiettivo più ampio, e cioè promuovere la costruzione di quello spirito critico di cui oggi più che mai c’è bisogno per esercitare una cittadinanza consapevole anche su temi scientifici.
In teoria, la scuola da sola dovrebbe bastare ad assolvere questo compito. In pratica, però, la sfida è tutt’altro che semplice. «Per intervenire nel dibattito di cui sono protagonisti alcuni temi scientifici occorre prima aver capito i nuclei fondanti delle discipline di riferimento» commenta Isabella Marini, docente di scienze del liceo scientifico Ulisse Dini di Pisa e consigliera dell’ANISN, Associazione nazionale insegnanti di scienze naturali. «Per esempio affrontare le staminali ha senso se si sono capiti concetti come “cellula”, “divisione cellulare”, “differenziamento”. Ormai sono tutti d’accordo che la didattica trasmissiva, quella per cui l’insegnante spiega e il ragazzo studia a memoria, con le scienze non serve. Meglio altre strategie, come la didattica laboratoriale o quella basata sull’investigazione (inquiry based), che permettono di apprendere a fondo i concetti di base delle discipline».
Il problema è che sono strategie di ampio respiro, che richiedono tempo. E cioè una delle risorse che scarseggia di più. «In un liceo scientifico tradizionale ci sono due ore di scienze alla settimana per i primi due anni, che diventano tre negli anni successivi. E dentro ci deve stare tutto: chimica, biologia, scienze della Terra. In questo condizioni riuscire a fare un percorso didattico innovativo è un’impresa». Per questo Marini appare perplessa dalla proposta di ECRAN: «Il tema è sicuramente interessante, ma bisogna fare delle scelte. Mi sembra difficile che si possano dedicare così tante giornate alla sola ricerca clinica».
Di analoga opinione è Maria Grazia Gillone, dirigente del Liceo Isaac Newton di Chivasso (TO). «Il materiale proposto dal progetto è molto valido, ma ha poco senso chiedere di inserirlo nei programmi scolastici. Sa quante cose dovrebbero finirci, se considerassimo il criterio della validità educativa? Di sicuro, però, le singole scuole potrebbero decidere di inserirlo nei percorsi di educazione alla salute che ciascuna ha l’obbligo di proporre nel piano dell’offerta formativa. Anche in questo caso, però, i temi interessanti e importanti sono tanti: la lotta al fumo, quella alle droghe, l’educazione sessuale».
Insomma, più che giornate ad hoc, forse varrebbe la pena di ragionare, una volta per tutte, su una riforma della scuola che riesca a mettere al centro nuove modalità didattiche, più aderenti alle richieste di una società che cambia. La Buona scuola di Renzi va in questa direzione? Difficile dirlo ora, restiamo a guardare.
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