SALUTE – Il numero di casi di autismo non è aumentato pesantemente negli ultimi anni. Questo è il risultato di uno studio condotto da ricercatori del Queensland Centre for Mental Health Research australiano, pubblicato sulla rivista Psychological Medicine.
Negli ultimi anni, i vari disturbi legati all’autismo hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei medici, al punto che sembra di avere a che fare con una vera e propria epidemia. La deduzione che molti fanno è quindi che i casi di autismo siano pesantemente aumentati negli ultimo due decenni. Nel 2012 uno studio pubblicato dal Centers for Disease Control and Prevention sembrava mostrare un forte aumento di casi, almeno negli Stati Uniti.
La nuova ricerca, diretta dall’epidemiologa Armanda Baxter, suggerisce invece che queste preoccupazioni siano infondate. Il team di ricercatori, analizzando i dati dal 1990 al 2010 sui casi di autismo di tutto il mondo, hanno infatti osservato un aumento decisamente marginale (su mille abitanti nel 1990 gli autistici erano 7,5 e vent’anni dopo 7,6), che è risultato non significativo. E differenze particolari non sono state trovate nemmeno tra le diverse regioni del mondo.
Quale può essere la motivazione? Secondo Armanda Baxter il fatto che si creda a un netto aumento dei casi è dovuto ai miglioramenti della diagnostica. “Significa che stiamo facendo un lavoro migliore – ha affermato – nell’identificare le persone affette da disturbo autistico, in particolare quelli meno gravi. Inoltre l’identificazione avviene in età molto precoce”. Già nel 2012 queste motivazioni erano state usate dagli scienziati per spiegare, anche se solo parzialmente, l’aumento dei casi di autismo.
Anche per questo motivo l’anno successivo (2013) è stata pubblicata un’altra analisi sul British Medical Journal per indagare il fenomeno, stavolta in Gran Bretagna. E in questo caso i dati, ottenuti dall’analisi dei registri medici di oltre tre milioni di pazienti, non hanno mostrato alcuna variazione di incidenza dell’autismo nel periodo dal 2004 al 2010.
Quali conclusioni trarre allora dal nuovo studio?
La chiave di volta sembra essere la metodologia. Gli autori hanno effettuato una revisione sistematica di dati epistemiologici, utilizzando un approccio “bayesano” di meta-regressione. Un’attenta selezione dei dati presi in esame e l’esclusione degli studi che non soddisfavano determinati criteri di qualità, come scarsità di informazioni e popolazione non rappresentativa, potrebbero aver quasi azzerato le differenze che in altri studi sembravano significative.
Già a suo tempo, in effetti, Aldina Venerasi e Flavia Chiarotti, ricercatrici all’Istituto Superiore di Sanità, avevano mostrato perplessità sui dati dello studio americano, facendo riferimento ai dati italiani che mostrano un andamento molto più rassicurante. Questo potrebbe far pensare che forse i dati utilizzati non erano stati scelti con sufficiente attenzione.
Oggi sull’autismo si sa ancora poco, ma è ormai riconosciuto come una questione sociale importante. Questo, almeno, il parere dello psicologo Enrico Gnalauti, secondo il quale da qualche tempo l’autismo è diagnosticabile con molta più facilità, in quanto esistono tecniche sperimentali che studiano il pianto o il movimento degli occhi dei bambini per intervenire subito, in tenera età, prima che la malattia peggiori brutalmente. Con tecniche migliori si possono anche diagnosticare forme più lievi, con il rischio di prendere per autismo fenomeni diversi, magari momentanei.
Dunque, il verdetto è posticipato, ma di sicuro l’eventuale aumento dei casi di autismo non è causa di un’epidemia. E questa è già una buona notizia.
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