RICERCA – Sfruttare le scansioni cerebrali o monitorare la risposta del cervello di un bambino alla voce umana, per predire quali saranno le sue future capacità di lettura e intervenire, per tempo, sui suoi possibili disturbi: è il nuovo approccio proposto da due recenti ricerche. Secondo gli scienziati, in questo modo i medici avrebbero la possibilità di identificare il rischio di dislessia e altre difficoltà prima ancora che i bambini debbano interfacciarsi con la lettura; sfida che solitamente si presenta durante gli anni dell’asilo.
In una delle due ricerche, pubblicata a settembre su Psychological Science, gli scienziati hanno esaminato le scansioni cerebrali di 38 bambini dell’asilo mentre imparavano a leggere; hanno poi continuato a seguire il processo di apprendimento nel corso dei mesi, tenendo traccia fino alla terza elementare dello sviluppo della materia bianca (fondamentale per la percezione e l’apprendimento stesso). In questo modo si sono resi conto che l’andamento di tale sviluppo permetteva di predire le future capacità di lettura del bambino. Riuscendo a comprendere il profilo neurocognitivo, gli educatori diventano così in grado di elaborare dei metodi di intervento personalizzati; più sono particolari le necessità del bambino, più dovrà esserlo l’approccio su misura.
Finora i metodi più utilizzati si sono concentrati su elementi legati al comportamento dei bambini, associati a misurazioni delle capacità cognitive (come il QI), alle competenze linguistiche precoci e alle condizioni socio-economiche della famiglia nel periodo della crescita. Un altro fattore d’interesse sono i casi precedenti di dislessia e/o problemi di lettura all’interno della famiglia, considerati possibili campanelli d’allarme. “La cosa più intrigante del nuovo studio è che lo sviluppo cerebrale, in regioni importanti per la lettura, è riuscito a prevedere [lo sviluppo futuro] ben oltre le altre misurazioni”, spiega Fumiko Hoeft della UC San Francisco Dyslexia Center. L’accuratezza delle previsioni ottenute grazie alle scansioni si è infatti dimostrata superiore ai metodi tradizionali di circa il 60%. Secondo il National Institute of Child and Human Development almeno il 15% dei cittadini americani ha concreti problemi nella lettura; un dato che conferma quanto sia importante poter prevedere tali difficoltà, e intervenire per tempo.
Un secondo nuovo metodo per identificare in anticipo queste problematiche arriva da un gruppo di ricercatori della Northwestern University di Evanston, guidati dalla biologa Nina Kraus. Se i risultati del loro studio troveranno l’applicazione prevista (si parla probabilmente di anni), in futuro potrebbe essere possibile determinare il rischio di dislessia in un bambino -oltre che monitorare lo sviluppo delle sue capacità di linguaggio- osservando il modo in cui le sue onde cerebrali rispondono alla voce umana. Per distinguere parole e sillabe, spiegano i ricercatori, gli esseri umani fanno ampio uso di “indizi acustici” come accenti e pause. Questo permette loro di elaborare le informazioni uditive in maniera efficace, e segna una netta differenza tra bambini e adulti con capacità nella norma e quelli che invece soffrono di disturbi nella lettura: questi ultimi, infatti, fanno una grande fatica a cogliere e sfruttare il pattern musicale.
Il team di Kraus ha coinvolto 35 bambini tra i 3 e i 4 anni facendo loro suonare delle percusssioni, e chiedendo poi di sincronizzare il suono con quello di un ricercatore. In base ai risultati ottenuti, i vari bambini sono stati divisi in due gruppi, tra quelli “sincronizzati” e quelli “non sincronizzati”, in assenza di differenze cognitive evidenti. In seguito, i ricercatori hanno riprodotto suoni di sillabe (come “ba” o “da”) di fronte ai bambini e registrato immediatamente le loro onde cerebrali di risposta, tramite elettrodi. Lo stesso test è stato ripetuto mescolando la sillaba “da” con un rumore di sottofondo, in modo da determinare se i bambini fossero in grado di discriminare tra i diversi suoni.
I risultati hanno mostrato molto chiaramente che il cervello dei bambini “sincronizzati” riusciva a elaborare le sillabe in maniera molto più precisa, raggiungendo livelli di accuratezza maggiori anche nel caso del rumore di sottofondo. Una differenza che si è confermata nuovamente quando i bambini hanno affrontato alcuni test per le capacità di linguaggio legate alla lettura. L’abilità nel mantenere il ritmo, spiega Kraus, corrispondeva alla precisione con la quale il cervello dei bambini elaborava le sillabe parlate. La ricerca (pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences) è solo agli inizi, precisano gli autori, e avranno ora inizio cinque anni di ulteriori indagini per confermare l’utilità del test: in futuro, se i risultati si confermeranno sulla linea positiva, i dottori potrebbero essere in grado di conoscere il rischio di problemi nella lettura ancor prima che il bambino pronunci la sua prima parola.
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