CRONACA – È un maschietto, pesa poco meno di 1800 grammi ed è lungo 40 centimetri: è il primo bambino al mondo nato dopo un trapianto di utero. L’eccezionale lieto evento è avvenuto a settembre al Sahlgrenska University Hospital di Gothenburg, in Svezia, ed è appena stato annunciato dalle pagine di Lancet. «Abbiamo seguito tutta la gravidanza molto attentamente e sapevamo che il bambino stava bene, ma quando è arrivato il momento del parto eravamo tutti un po’ ansiosi» ha dichiarato, in un’intervista video pubblicata dall’Università, il capo delle équipe che hanno eseguito prima il trapianto di utero e poi il taglio cesareo, Mats Brännström. Per fortuna, tutto è andato bene: «Il bimbo ha pianto subito e non ha avuto bisogno di ossigeno o farmaci. Noi eravamo felicissimi, ma quasi increduli di esserci arrivati davvero».
In effetti il percorso non è stato semplice: il gruppo di Brännström ci ha messo 15 anni di lavoro, a partire da ricerche su animali fino al primo studio clinico su un piccolo gruppo di donne. Uno studio controverso, come avevamo raccontato, per vari motivi tra i quali la scelta di trapiantare organi da donatrici viventi: un intervento molto complesso, ma non salvavita. Nel caso in questione, a donare l’organo è stata un’amica di famiglia, in menopausa da sette anni dopo aver avuto due figli. La ricevente era nata senza utero per la rara sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser, una sindrome che causa in genere infertilità completa, con tutta la sofferenza psicologica che questo comporta. La donna aveva però ovaie funzionanti, per cui è stato possibile produrre embrioni direttamente dai suoi ovociti e dagli spermatozoi del compagno.
Il parto, con taglio cesareo, era programmato a 34 settimane di gravidanza, un momento in cui la prematurità non è più considerata un rischio per il feto, ma è stato anticipato di due settimane perché la mamma aveva sviluppato segni di preeclampsia, una condizione caratterizzata da ipertensione e presenza di proteine nelle urine, potenzialmente molto pericolosa sia per la mamma stessa sia per il bambino. Ai primi segni di sofferenza fetale, già durante la prima notte dopo il ricovero, si è attivata l’équipe che ha fatto nascere il bambino. «L’intervento è stato un po’ più difficile del consueto – ha dichiarato Brännström – sia perché l’utero e le sue connessioni vascolari erano in posizioni leggermente anomale, sia perché abbiamo prestato molta attenzione a non danneggiare i vasi sanguigni, nel caso in cui la donna voglia conservare l’utero per una seconda gravidanza».
Nonostante alcuni critici temano che un utero trapiantato possa avere un afflusso di sangue insufficiente a garantire un’adeguata crescita fetale, in questa gravidanza ciò non si è verificato. Lo dimostravano i frequenti controlli effettuati durante la gestazione, e lo confermano le dimensioni del neonato, esattamente in linea con quelle previste per la sua età gestazionale. A distanza di qualche settimana dal parto, mamma e bambino stanno bene. «Ora sono impegnati, con il papà, a costruire la loro nuova famiglia» ha dichiarato la ginecologa Liza Johannesson, dell’équipe di Brännström, a sottolineare che per il momento i tre sembrano essersi lasciati alle spalle la lunga avventura medica che li ha portati fin qui. Anche se la donna continua ad assumere farmaci immunosoppressori e sottoporsi a controlli per valutare l’irrorazione sanguigna dell’utero.
Per loro, di sicuro, l’intervento è stato di quelli che cambiano la vita, ma Liza Johannesson è pronta a scomettere che l’impatto sarà immenso anche per altre coppie, perché per la prima volta un intervento chirurgio promette di dare speranza a tutte le donne colpite da infertilità per mancanza o rimozione dell’utero e che desiderano un figlio proprio. Una speranza che, va detto, non è esattamente dietro l’angolo. Intanto, bisognerà attendere la conclusione dello studio clinico completo: altre sei donne, delle nove alle quali era stato trapiantato un utero, hanno ricevuto un trasferimento di embrione, ma al momento non sappiamo quante gravidanze si siano instaurate e come stiano andando. «In ogni caso» ha concluso Brännström «di sicuro ci vorranno molti anni prima che un intervento del genere possa diventare routine». Senza contare che probabilmente non in tutti i paesi sarà possibile effettuarlo.
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