Quelle credenze implicite che non ci abbandonano mai
Le idee che si radicano in noi in giovane età ci accompagnano fino a quella adulta, persino quando sono in contrasto con quello in cui esplicitamente diciamo di credere
SCOPERTE – Il nostro passato e ciò che apprendiamo o impariamo a credere da piccoli tendono ad avere un peso piuttosto significativo sugli adulti che poi diventiamo. Ruolo che si fa importante guardando la questione dal punto di vista “spirituale”: le idee che ci facciamo da bambini in merito all’esistenza dell’anima e di una vita dopo la morte tendono infatti ad accompagnarci fino all’età adulta, convivendo con la nostra ideologia esplicita. Si tratta della conclusione di uno studio condotto su 348 studenti di psicologia dell’età media di 18 anni, pubblicato sull’ultimo numero della rivista British Journal of Psychology.
A tutti i partecipanti è stato chiesto, sfruttando un test apposito per valutare le credenze implicite, quali fossero le loro idee in merito all’esistenza dell’anima e di una vita dopo la morte quando avevano 10 anni e quali invece quelle attuali. “Il mio punto di partenza era il presupposto che le persone hanno queste credenze ‘automatiche’ – che siano implicite o radicate – in merito all’anima e alla vita dopo la morte, perciò mi sono chiesta in che modo fosse possibile misurarle”, spiega Stephanie Anglin della Rutgers School of Arts and Sciences, autrice dello studio. Anglin ha così scoperto che le credenze implicite degli studenti a 18 anni erano rimaste pressoché invariate rispetto a quelle che ricordavano d’aver avuto a 10 anni, senza grosse differenze tra persone credenti e non credenti. Queste credenze, tuttavia, erano a loro volta differenti rispetto a quelle esplicite, ovvero le cose in cui dichiaravano apertamente di credere.
Come è stato misurato? Tramite un noto strumento della psicologia sociale, il Test d’Associazione Implicita. Durante il test a tutti i partecipanti sono state mostrate due parole in abbinamento sullo schermo del computer, la parola “anima” abbinata a volte a “vero” e a volte a “falso”, in modo da sollecitare le credenze implicite sull’esistenza dell’anima. Lo stesso è stato fatto poi con i termini “eterna” e “morte”, per sondare invece le idee riguardo alla vita dopo la morte. A quel punto altre parole sono state visualizzate sullo schermo rapidamente, come “artificiale” o “esistente”, e gli studenti dovevano indicare quali di queste fossero più adatte a essere associata alle due parole mostrate in precedenza.
“Di fronte ad ‘anima’ e ‘falso’ ad esempio sarebbero state sensate le associazioni con ‘artificiale’, meno invece quelle con ‘esistente’ o ‘ vero’”, spiega Anglin, mentre le associazioni sono rimaste aderenti alle credenze implicite, non a quelle esplicite. Anglin ammette i limiti della ricerca ma la ritiene comunque un punto di partenza estremamente interessante per futuri studi, in modo da capire come le idee implicite che ci facciamo in giovane età rimangano insieme a noi accompagnandoci per anni. Tra le carenze dell’indagine, sottolinea lei stessa, c’è il non aver potuto ancora approfondire in che modo le credenze fossero associate a questioni politiche o sociali. “Sarebbe davvero interessante che uno studio longitudinale proseguisse esaminando le stesse ipotesi”, conclude l’autrice, “monitorando un gruppo di persone nel tempo a partire dall’infanzia fino all’età adulta, esaminando come cambiano le loro idee mentre crescono”.
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