WHAAAT?

Ecologia della religione

“Molti evoluzionisti si sono impegnati parecchio a colpire la religione il più duramente possibile. Ritengo che la sfida vera sia spiegarla”

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La selezione naturale comporta che i bambini tendano a accettare per vero tutto quello che i genitori o familiari più anziani dicano loro. Questo comportamento è finalizzato alla sopravvivenza: si riscontra anche nelle falene che si orientano guardando la luna.

WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Questo scrive lo scienziato e scrittore Richard Dawkins nel suo libro L’illusione di Dio (The God Delusion, 2006), con il classico tono cinico che lo contraddistingue. Un pensiero tra i molti suoi che sono stati ampiamente discussi e che potremmo confrontare con un recente studio condotto sotto l’egida del National Evolutionary Synthesis Center (NESCent), pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. Secondo questo studio la fede nelle divinità è sì composta da più fattori, uno dei quali è certamente culturale, legato alla trasmissione delle credenze religiose dai genitori ai figli, ma guardando più da lontano la religiosità è in realtà plasmata principalmente dall’ambiente, dall’ecologia.

Secondo il team di scienziati, un gruppo internazionale di esperti australiani, tedeschi e statunitensi, credere in una divinità suprema che impone precetti morali può comportare per una popolazione povera gli stessi vantaggi che, in natura, una specie animale o vegetale trae dall’adattamento. Anche se a volte, potenziale continuazione del pensiero di Dawkins, quando le falene scambiano le luci artificiali per luce naturale la questione si fa più complicata. Le società con un ridotto accesso all’acqua, oppure alle risorse alimentari, sono quindi più propense ad affidarsi a suddette divinità, che impongono loro un qualche tipo di rigore morale aiutandole a districarsi nelle difficoltà. Esiste quindi una sorta di “geografia della religiosità”, in cui il clima e l’ecologia delle varie regioni plasmano le credenze delle popolazioni.

“Quando la vita mette di fronte a sfide o incertezze, le persone credono negli dei”, commenta Russell Gray, professore dell’Università di Auckland e direttore del Max Planck Institute for History and the Sciences di Jena, in Germania. “È possibile che il comportamento prosociale aiuti le persone a vivere meglio in condizioni di imprevedibilità od ostiche”. Da precedenti ricerche era per esempio già emerso che di fronte al pensiero della morte le persone tendono a essere più inclini a un tipo di risposta religiosa. Come anche che questa diventa una componente importante di fronte alle catastrofi naturali. Che si tratti di una “forza” che tende a unire gruppi di persone, diventando più forte di pari passo con le difficoltà (ambientali e non) che questi devono affrontare, è un punto su cui possiamo trovarci d’accordo nel giro di qualche riflessione. Ma dimostrarlo scientificamente è un’altra storia.

La vera sfida con la religione è spiegarla

A lungo si è parlato dell’emergere delle religioni come un risultato di fattori culturali oppure ambientali, ma non di entrambi. In base alle scoperte del team di Gray, invece, sembrerebbe che l’origine sia molto più complessa, mitigata da variabili storiche ed ecologiche. “Quando i ricercatori discutono in merito alle forze che hanno plasmato la storia umana, c’è un considerevole disaccordo in merito alla questione se il nostro comportamento sia determinato più dalla cultura o dall’ambiente”, spiega Carlos Botero, ecologo dell’evoluzione e primo autore del paper. “Volevamo superare tutte le nozioni e i preconcetti riguardo a questo processo, per concentrarci sui fattori che potrebbero esserne la causa. In modo da scoprire come diversi aspetti dell’esperienza umana possano aver contribuito a plasmare gli schemi comportamentali che conosciamo oggi”.

“Molti evoluzionisti si sono impegnati parecchio a colpire la religione il più duramente possibile. Ritengo che la sfida vera sia spiegarla”, commenta Gray. E farlo in modo empirico. “Nonostante alcuni suoi aspetti appaiano tutto fuorché legati all’adattamento, la prevalenza quasi universale della religione suggerisce che debba esserci un qualche valore adattativo”. Gli scienziati hanno analizzato i dati ecologici relativi a 583 diverse società e attinto all’Etnographic Atlas, un database enorme relativo a più di un migliaio di società umane aggiornato durante il 20 esimo secolo. Hanno poi esaminato le credenze religiose che ne sono emerse e le hanno correlate con una serie di fattori ecologici specifici delle varie regioni (regolarità delle precipitazioni, temperature, abbondanza di risorse animali e vegetali).

In questo modo è diventato chiaro come le culture legate a un dio o a più divinità, entità superiori coinvolte nella vita dopo la morte e che vincolano i credenti a una serie di precetti morali,  tendevano a essere proprio quelle che vivevano in ambienti ostili, con instabilità climatica o delle risorse. “Presumibilmente il motivo è proprio che in condizioni precarie i gruppi di persone devono stringersi tra loro e cooperare. E credere nelle stesse divinità li aiuta a farlo, in queste circostanze”, spiega Botero. Precisando che la loro scoperta non mira a farsi portatrice di un qualche determinismo geografico (gran parte dei dati fanno riferimento al ventesimo secolo) e che anzi, del team di ricerca ha fatto parte anche uno studioso esperto di scienze religiose e teologia. Tenendo in considerazione tutti i fattori potenzialmente rilevanti – come linguaggio, complessità socio-politica, agricoltura e allevamento -, i ricercatori sono comunque riusciti a predire quale tipo di religione si praticasse in una data società con un’accuratezza del 91%.

“Abbiamo cercato di essere estremamente delicati nel trattare il modo in cui le persone percepiscono qualsivoglia tipo di discussione in merito alla religione. E riteniamo tutti che il nostro lavoro sia un buon esempio di come scienza e religione possono in realtà convivere, esplorando interessi comuni senza alcun bisogno di ostilità”, conclude Botero.

@Eleonoraseeing

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Crediti immagine: Narender9, Wikimedia Commons

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".