Binge Eating Disorder, tra farmaci e psicoterapia
Sempre più persone soffrono di disturbi alimentari: ecco perché trovare le giuste terapie è oggi una questione d'equipe
SALUTE – Parlare di disturbi del comportamento alimentare non significa solo anoressia o bulimia. Sempre più spesso significa parlare anche di Binge Eating Disorder (BED), un disturbo che provoca in chi ne è colpito episodi di abbuffate compulsive a qualsiasi ora del giorno o della notte. Secondo la SIMA (Società italiana di Medicina dell’Adolescenza) sarebbero due milioni i giovani a soffrirne in Italia, il 40% di essi tra i 15 e i 19 anni, anche se i primi sintomi possono presentarsi anche già tra gli 8 e i 12 anni.
A differenza di altri disturbi legati al comportamento, che possono venir curati anche senza alcun intervento farmacologico, nel caso dei disturbi alimentari oggi qualsiasi percorso terapeutico prevede nella sua interezza la possibile somministrazione di farmaci, almeno in alcune fasi della terapia. “I disturbi del comportamento alimentare sono disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche in cui sono spesso presenti complicanze mediche; è quindi necessaria la stretta collaborazione tra figure specialistiche diverse che si occupino, in modo integrato, della mente e del corpo: lo psichiatra, il dietologo, l’internista e lo psicoterapeuta lavorano all’interno di un programma terapeutico condiviso per ogni specifico paziente”. A parlare è Loriana Murciano, psichiatra della Federazione Italiana Disturbi Alimentari della sede a Torino.
“Il trattamento farmacologico nei disturbi alimentari nasce dall’osservazione della frequente associazione ad altre psicopatologie quali disturbi depressivi, sintomi ossessivi o multi-impulsività; la farmacoterapia non rappresenta mai un trattamento d’elezione ma deve essere considerata di supporto alla psicoterapia e non è indicata in tutti i pazienti con disturbo alimentare. I farmaci attualmente più utilizzati sono gli antidepressivi ad azione prevalentemente serotoninergica, gli stabilizzatori dell’umore ed alcuni antipsicotici atipici. Gli studi in letteratura che valutano l’efficacia a lungo termine della terapia farmacologica nei disturbi alimentari sono ancora pochi”.
Siccome negli ultimi anni sempre più persone, specie i giovanissimi e le giovanissime, sono risultati affetti da patologie di questo tipo, la messa a punto di nuovi farmaci, oltre quelli già utilizzati, in grado di risolvere per lo meno i sintomi di queste dipendenze, è una linea di ricerca assai fertile.
A questo proposito è notizia di qualche giorno fa che due ricercatori italiani di stanza alla Boston University, Pietro Cottone e Valentina Sabino, avrebbero scoperto gli effetti positivi della memantina, un farmaco normalmente usato su pazienti affetti da morbo di Alzheimer, su chi soffre di disturbi alimentari come bulimia e abbuffate compulsive. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology in collaborazione con l’Università di Cambridge.
A oggi i risultati riguardano la fase pre-clinica, che non coinvolge cioè ancora a livello sperimentale l’essere umano, ma sui topi l’effetto osservato è stato netto. In una prima fase i ricercatori offrivano ai topi cibi molto dolci in modo da stimolarne i sensi, e poi somministravano loro il farmaco, notando come dopo la dose sia l’attrazione esercitata dal cibo sull’animale, che le abbuffate si bloccassero. Il farmaco infatti agisce sul cosiddetto nucleus accumbens, un’area del cervello che era già associata in precedenza alle forme di dipendenza da cibo.
“Il punto cruciale per una terapia farmacologica efficace è formulare, per ogni singolo paziente, una corretta diagnosi che tenga conto di eventuali altri disturbi psichiatrici in associazione.” A questo proposito i criteri diagnostici li fissa ancora una volta il DSM, giunto alla sua quinta edizione. “Nel 2013 il Binge Eating Disorder è stato inserito come categoria autonoma nel capitolo dei disturbi alimentari alla pari dell’anoressia e della bulimia nervosa” spiega la Murciano. “Con il grosso limite del DSM-V per il quale il Binge Eating viene riconosciuto come disturbo psichiatrico solo se vengono soddisfatti tutti i criteri che il manuale stesso richiede lasciando aperto il problema della valutazione della grande categoria del sottosoglia.
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