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I soldi non fanno la felicità. Il tempo sì.

Una serie di studi sulla felicità condotti dalla Wharton University of Pennsylvania negli ultimi quattro anni indicano che è il tempo la chiave della nostra gioia

5510507276_90c81d56e8_zSPECIALE DICEMBRE – La ricerca della felicità è un tema che non passa mai di moda. E anche la scienza si è confrontata più volte con la questione, andando a indagare sul perché non siamo mai veramente felici, su cosa ci rende più felici o piuttosto su come stimolare la felicità. Ne abbiamo visti di studi apparire e scomparire sui media, dai più tradizionali ai più bizzarri. Solo lo scorso anno c’era chi trovava un collegamento tra la capacità di essere felici e i fast food. Sembra pazzesco e, apparentemente, insensato, eppure lo studio, che titolava “Troppo impazienti per godersi il profumo delle rose: l’esposizione ai fast food impedisce la felicità” ed è stato pubblicato su SPPS, ha voluto testare se e come l’esposizione a simboli di una cultura dell’impazienza – i fast food nello specifico – possano minare la nostra capacità di provare gioia nell’assaporare esperienze piacevoli. L’esperimento, in buona sostanza, ha rivelato che l’esposizione ai fast food (come per esempio l’alta concentrazione di questo tipo di locali nelle vicinanze di casa) impediva ai partecipanti di avere le abilità necessarie per poter godere appieno di immagini di bellezze naturali o di ascoltare piacevolmente meravigliose melodie, perché induceva impazienza. Secondo i ricercatori canadesi, questo studio dimostrerebbe che simboli di impazienza come i fast food possono inibire il fatto di sapersi assaporare la vita, producendo un calo di felicità nel vivere gli eventi piacevoli.

Oggi, una serie di quattro studi condotti dall’economista Cassie Mogilner della Wharton University of Pennsylvania, in collaborazione con ricercatori di altre università, indaga ancora una volta la felicità. E dai dati congiunti sembra abbastanza chiaro che la storia dei “due cuori e una capanna”, in qualche modo, funzioni ancora (sempre che non si tratti di situazioni che riguardano gravi condizioni di povertà, sulle quali nessuno di questi studi si focalizza). Perché i soldi – dicono – non fanno la felicità, piuttosto è il tempo la chiave per vivere meglio.
Anche se un recente articolo apparso sul National Bureau of Economic Research, forse, rimette la palla al centro. Perché, studiando il rapporto tra lo sviluppo economico dei Paesi e il livello di felicità percepita, i ricercatori hanno dichiarato che nei Paesi più ricchi la gente è più felice. E si direbbe abbastanza ovvio. Ma evidentemente i soldi non bastano. Il tempo, ricorda la Mogilner, è fondamentale.
In uno degli studi della Wharton, pubblicato su Psychological Science, gli autori si sono chiesti se pensare al tempo, piuttosto che ai soldi, possa influenzare il modo in cui gli individui perseguono la felicità. E in quell’occasione la Mogilner ha scoperto che focalizzare l’attenzione sul tempo invece che sul guadagno rende più felici. Partita da una sua precedente analisi che aveva indicato che le persone sono più felici quando dividono il tempo con le altre piuttosto che quando stanno lavorando o stanno viaggiando per lavoro, la ricercatrice è andata a vedere se pensare al tempo o ai soldi ci fa comportare in modo da renderci più o meno felici. Così ha deciso di osservare il contesto nel quale le persone incontrano le altre e a volte lavorano, cioè i caffè.

Nel suo test, quando gli inconsapevoli partecipanti entravano, veniva chiesto loro di compilare un sondaggio nel quale, furtivamente, gli sperimentatori avevano inserito ad hoc parole legate al tempo e al suo impiego, oppure legate al mondo del lavoro, dell’economia e del denaro. Successivamente si sono appostati a spiare come le persone si comportavano all’interno del caffè, se chiacchieravano con gli altri e come lo facevano, oppure se parlavano al cellulare, se e come lavoravano, se passavano il tempo aprendo un libro o un portatile. Quando lasciavano il caffè i ricercatori riproponevano ai soggetti un sondaggio, chiedendo loro quanto si sentivano felici. E così hanno scoperto chi era stato indotto a pensare al tempo mentre entrava nel caffè aveva passato più tempo relazionandosi con gli altri e si sentiva più felice di chi era stato, invece, indotto a pensare ai soldi.

Ma poi, cos’è la felicità? È per me quello che è per te? Oppure, è per me oggi quello che sarà per me tra vent’anni? Uno dei quattro studi della Wharton si chiedeva proprio questo e in quel frangente il team ha scoperto non solo che quando un ventenne e un sessantenne dicono “sono felice” stanno provando sensazioni molto diverse, ma soprattutto che, paradossalmente, intendono esattamente uno l’opposto dell’altro. Quando il primo è felice si sta sentendo eccitato, mentre l’altro prova un profondo senso di calma. Inoltre, i piccoli momenti di gioia che ci sono nella vita di tutti i giorni possono produrre lo stesso livello di felicità dei momenti straordinari –  dice lo studio più recente – soprattutto una volta superata l’adolescenza o la giovanissima età.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Caleb Roenigk, Flickr

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Sara Stulle
Libera professionista dal 2000, sono scrittrice, copywriter, esperta di scrittura per i social media, content manager e giornalista. Seriamente. Progettista grafica, meno seriamente, e progettista di allestimenti per esposizioni, solo se un po' sopra le righe. Scrivo sempre. Scrivo di tutto. Amo la scrittura di mente aperta. Pratico il refuso come stile di vita (ma solo nel tempo libero). Oggi, insieme a mio marito, gestisco Sblab, il nostro strambo studio di comunicazione, progettazione architettonica e visual design. Vivo felicemente con Beppe, otto gatti, due cani, quattro tartarughe, due conigli e la gallina Moira.