WHAAAT?

Tutti i batteri del bagno pubblico

Un microbiota variegato quello sulle tavolette del water, o sui dispenser del sapone. Ma non c'è da preoccuparsi: è igienico almeno quanto casa vostra

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WHAAAT? Il venerdì casual della scienza-  Parecchi microrganismi provenienti dalle vagine e dagli intestini, poi svariati microbi che arrivano invece direttamente dalla pelle. L’avvicendarsi di questi organismi in un qualsiasi bagno pubblico inizialmente sterilizzato (o perlomeno ben pulito) si basa sempre su una comunità batterica stabile, che se da una parte si stabilisce molto rapidamente dall’altra vanta per fortuna pochi batteri patogeni: un ambiente che battericamente parlando non è molto differente dalla vostra casa, almeno secondo quanto dice un recente studio pubblicato su Applied and Environmental Microbiology.

Sedili del water, dispenser per il sapone, pavimenti: nessuna componente dei bagni pubblici è sfuggita all’analisi dei ricercatori, che le hanno prima “decontaminate” per poi esaminarle una volta all’ora, una volta al giorno, per otto settimane di fila. “Abbiamo ipotizzato che i batteri enterici (quelli provenienti dall’intestino) sarebbero stati rapidamente dispersi grazie allo sciacquone, che non sarebbero sopravvissuti a lungo perché la maggior parte di loro non è molto competitiva in ambienti freddi, umidi e ricchi di ossigeno”, spiega Jack. A Gilbert, uno degli autori della ricerca, della San Diego State University. “Per questo ci attendevamo invece che a prevalere sarebbero stati i batteri della pelle; è esattamente quello che abbiamo trovato”.

Gilbert negli anni passati ha condotto lo stesso tipo di indagini sui batteri anche all’interno di abitazioni oppure ambienti più delicati, come gli ospedali. La maggior parte di questi sistemi è caratterizzata dal fatto che i possibili sviluppi della comunità batterica sono molti e molto diversi tra loro; al contrario le superfici di un bagno pubblico si sono rivelate sorprendentemente stabili. Le comunità batteriche associate a ogni componente (dispenser, tavolette ecc) sono diventate via via più simili tra loro cambiando rapidamente nelle prime cinque ore successive la sterilizzazione.

La struttura della comunità batterica è poi rimasta pressoché invariata per il periodo restante: sul pavimento l’abbondanza di Firmicutes e Bacteroidetes è andata scemando piuttosto velocemente. Lo stesso destino, seppur in tempi più dilatati, è toccato a proteobatteri, attinobatteri e cianobatteri, questi ultimi provenienti da materiali vegetali portati all’interno dei bagni sui vestiti oppure sotto le scarpe, ma anche da biomassa vegetale riconducibile alla dieta di chi aveva frequentato i locali. I batteri legati alla pelle rappresentavano nel complesso tra il 68 e l’89% delle comunità, contro uno ben più misero 0-15% giocato invece da quelli appartenenti al microbiota fecale. Che come previsto se n’era andato giù con lo sciacquone.

Osservando poi i campioni specificamente relativi ai sedili dei water, la loro provenienza da un bagno piuttosto che dall’altro (donne o uomini) era estremamente chiara: se per le prime si trattava di lactobacilli e di Anaerococcus vaginalis (tipici della flora vaginale), per i secondi i batteri individuati erano invece Roseburia e Blautia (legati alla flora intestinale).

Oltre ad avervi portati a chiedervi quanto sia o meno igienica una toilette pubblica, a quali conclusioni sono giunti i ricercatori? Un bagno pubblico, rassicura Gilbert, non è meno pulito dal punto di vista batterico di una qualsiasi abitazione. Il criterio per stabilire una differenza, semmai, risiede nella presenza o peggio nell’abbondanza di batteri patogeni. Conoscere questi ambienti sempre meglio ci aiuterà in futuro nella progettazione di bagni (ma anche di case e di praticamente ogni tipo di edificio) più igienici.

@Eleonoraseeing

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: bikingbettie, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".